Epifania del Signore
Agostino, L'Epifania
Discorsi 203
"Epifania" è una parola della lingua greca che in latino si può tradurre con "manifestazione". Il Redentore di tutti i popoli, manifestandosi in questo giorno, lo ha reso giorno di grande festa per tutti i popoli. Alcuni giorni fa abbiamo celebrato la sua nascita; oggi celebriamo la sua manifestazione. Secondo la tradizione il Signore nostro Gesù Cristo, nato dodici giorni fa, quest'oggi è stato adorato dai magi. Che il fatto sia veramente accaduto ce lo garantisce la veracità del Vangelo, che sia accaduto oggi ce lo suggerisce a gran voce l'importanza che dappertutto ha preso questa famosa festa. Quei magi per primi tra i pagani hanno conosciuto il Cristo Signore e benché non ancora trascinati dalla sua parola, hanno seguito la stella che era loro apparsa e che rendendosi visibile aveva loro parlato al posto del Verbo che era bambino, come fosse la lingua del cielo. Per questo è parso opportuno - e lo è senz'altro - che i popoli con gratitudine ricordassero il giorno della salvezza delle proprie primizie e lo dedicassero con devota solennità al Cristo Signore per ringraziarlo. Le primizie dei Giudei alla fede e alla conoscenza di Cristo sono stati quei pastori che nello stesso giorno della sua nascita lo videro, accorrendo a lui dai dintorni. Ai pastori lo annunziarono gli angeli, ai magi la stella. Ai pastori fu detto: Gloria a Dio nell'alto dei cieli, nei magi si adempì la Scrittura: I cieli narrano la gloria di Dio. Ambedue, come gli inizi di due pareti provenienti da direzioni diverse, dalla circoncisione e dalla incirconcisione, corsero verso la pietra angolare: perché fosse pace fra di loro, facendo delle due una cosa sola.
Nondimeno i pastori lodarono Dio perché avevano visto il Cristo, i magi invece adorarono Cristo che avevano veduto. Nei primi la grazia è intervenuta prima; nei secondi l'umiltà è stata maggiore. Forse quei pastori esultavano più gioiosamente per la salvezza che per la cosa in se stessa; i magi invece, onerati da molti peccati, cercavano più umilmente il perdono. È la stessa umiltà che la divina Scrittura riconosce più in quelli che provengono dai pagani che nei Giudei. Dai pagani veniva infatti quel centurione che, pur avendo accolto il Signore di tutto cuore, proclamò di essere indegno che lui entrasse nella sua casa e non pretese che vedesse il suo familiare malato; ma gli bastò che comandasse che fosse guarito. Così aveva accolto interiormente nel cuore colui di cui declinava, pieno di rispetto, la presenza nella sua casa. Tanto che il Signore disse: Non ho trovato tanta fede in Israele. Veniva dai pagani anche quella cananea che, dopo aver udito dal Signore che era paragonata ad un cane e che non era degna di ricevere il pane riservato ai figli, supplicò di ricevere le briciole come un cane. E perciò meritò di non essere più trattata come un cane, perché non negò ciò che era stata. E così anch'essa udì dal Signore queste parole: O donna, grande è la tua fede. L'umiltà fece diventare grande in lei la fede, perché aveva fatto se stessa piccola.
I pastori vengono dunque dai dintorni per vederlo, i magi vengono da lontano per adorarlo. Questa è l'umiltà per cui l'oleastro meritò che venisse innestato nell'olivo domestico, e che producesse oliva contro la sua natura, perché con la grazia meritò di cambiare natura. Infatti essendo tutto il mondo diventato selvatico e amarognolo per questo oleastro selvatico, in grazia dell'innesto è divenuto abbondantemente fruttifero. Vengono infatti dalle estremità della terra dicendo, come scrive Geremia: Veramente i nostri padri adorarono menzogne. E vengono non da una parte soltanto del mondo ma, come dice il Vangelo di Luca, dall'Oriente, dall'Occidente, dal Settentrione e dal Meridione, per assidersi a mensa con Abramo e Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli. Così tutto il mondo, dalle quattro parti, è chiamato alla fede per grazia della Trinità. In base a questo numero - quattro per tre - è fissato il numero dodici degli Apostoli, che prefigura la salvezza del mondo intero, dalle quattro parti della terra, per grazia della Trinità. Anche quella tovaglia che fu mostrata a Pietro piena di ogni specie di animali - come fosse piena di tutti i popoli - indica quel numero dodici. Infatti, sospesa ai quattro capi, per tre volte fu calata dal cielo e poi fu riportata in alto; di modo che i quattro capi per tre volte fanno dodici. Per questo forse dodici giorni dopo la nascita del Signore i magi, primizie dei pagani, vennero per vedere e adorare Cristo e meritarono non solo di ricevere la propria salvezza ma di simboleggiare anche la salvezza di tutti i pagani. Celebriamo dunque con molta devozione anche questo giorno e adoriamo, ora dimorante nel cielo, il Signore Gesù che quelle nostre primizie adorarono mentre era adagiato nella capanna. Essi venerarono in lui ciò che sarebbe avvenuto, noi veneriamo ciò che già si è compiuto. Le primizie dei popoli adorarono un bambino che succhiava dal seno della madre; ora i popoli adorano colui che siede alla destra di Dio Padre.
Vangelo Mt 2,1-12
Siamo venuti dall'oriente per adorare il re.
Dal vangelo secondo Matteo
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.











, e soltanto a Dio si deve. È avvenuto quindi che non poteva avere in comune le leggi della religione con la città terrena e che a loro difesa necessariamente doveva dissentire da essa e che era di peso agli altri, i quali la pensavano diversamente, e che doveva sopportare la loro collera, gli odî e gli assalti delle persecuzioni, salvo quando riuscì a trattenere l'efferatezza degli avversari, qualche volta per paura del numero e sempre con l'aiuto di Dio. Dunque questa città del cielo, mentre è esule in cammino sulla terra, accoglie cittadini da tutti i popoli e aduna una società in cammino da tutte le lingue. Difatti non prende in considerazione ciò che è diverso nei costumi, leggi e istituzioni, con cui la pace terrena si ottiene o si mantiene, non invalida e non annulla alcuna loro parte, anzi conserva e rispetta ogni contenuto che, sebbene diverso nelle varie nazioni, è diretto tuttavia al solo e medesimo fine della pace terrena se non ostacola la religione, nella quale s'insegna che si deve adorare un solo sommo e vero Dio. Dunque anche la città del cielo in questo suo esilio trae profitto dalla pace terrena, tutela e desidera, per quanto è consentito dal rispetto per il sentimento religioso, l'accordo degli umani interessi nel settore dei beni spettanti alla natura degli uomini soggetta al divenire e subordina la pace terrena a quella celeste. Ed essa è veramente pace in modo che unica pace della creatura ragionevole dev'essere ritenuta e considerata l'unione sommamente ordinata e concorde di avere Dio come fine e l'un l'altro in lui. Quando si giungerà a quello stesso stato, non vi sarà la vita destinata a morire, ma definitivamente e formalmente vitale, né il corpo animale che, finché è soggetto a corruzione, appesantisce l'anima, ma spirituale senza soggezione al bisogno e interamente sottomesso alla volontà. La città del cielo, mentre è esule in cammino nella fede, ha questa pace e vive onestamente di questa fede, quando al conseguimento della sua pace eterna subordina ogni buona azione, che compie verso Dio e il prossimo, perché la vita della città è essenzialmente sociale.


