IV Domenica di Quaresima C
Agostino, Penetri da lontano i miei pensieri
Commento al Salmo 138, 3-5
«Penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti
quando cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie» (Sal 138,2-3).
Perché da lontano? Mentre sono ancora in cammino, prima ancora che giunga lassù
in patria, tu hai conosciuto il mio pensiero. Tu attendi con ansia quel figlio
minore, poiché anch’egli è divenuto corpo di Cristo, Chiesa che viene a te da
tutti i popoli. Il figlio minore infatti era andato lontano. Un padre di
famiglia aveva due figli: il maggiore non si era allontanato, ma lavorava nel
campo, e rappresenta i santi che nel tempo della legge compivano le opere e i
precetti della legge.
Ma poi il genere umano, volgendosi al culto degli
idoli, aveva vagato lontano. Qual cosa è tanto lontana dal tuo Creatore quanto
la rappresentazione che te ne sei fatto da te stesso? Il figlio minore, dunque,
parti per un paese lontano, portando con sé tutti i suoi averi, e, come
sappiamo dal vangelo, li dissipò vivendo con prodigalità; tormentato dalla
fame, si rivolse a un signore di quel paese, il quale gli affidò l’allevamento
dei porci; desiderava saziarsi, con le loro carrube, ma non poteva.
Allora, dopo la fatica, la stanchezza, la
tribolazione, la miseria, si ricordò del padre e decise di tornare; disse: «Mi
leverò e andrò da mio padre» (Lc 15,18). Riconosci ora la sua voce che dice:
«Tu sai quando seggo e quando mi alzo» (Sal 138,2). Mi sedetti nella miseria,
mi rialzai nel desiderio del tuo pane. «Penetri da lontano i miei pensieri»:
perciò il Signore dice nel vangelo che «il padre gli corse incontro» (Lc
15,20). Giustissimo, perché aveva penetrato da lontano i suoi pensieri: «Mi
scruti quando cammino e quando riposo». Tu dunque conosci il mio cammino;
quale, se non quello perverso che aveva seguito per andare lontano dal padre,
come se potesse rimanere nascosto agli occhi di colui che poteva punirlo? Ma
non avrebbe potuto essere logorato da quella miseria, né essere posto a
pascolare i porci, se il padre non avesse voluto castigarlo lontano per
riaverlo vicino. Perciò, come un fuggiasco messo alle strette, inseguito dal
giusto castigo di Dio che ci punisce nei nostri affetti in qualunque luogo
saremo andati e dovunque saremo arrivati, esclama: «Mi scruti quando cammino e
quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie». Prima ancora di andarvi, prima
che io vi camminassi, tu le hai previste; e hai permesso che percorressi con
dolore le mie vie affinché, per non soffrire, tornassi sulle tue.
Dice: «Non c’è inganno sulla mia lingua» (Sal
138,4 Volg.). Perché? Perché ecco, lo confesso: ho seguito il mio cammino, mi
sono fatto straniero a te; mi sono allontanato da te con quello che mi sembrava
un bene e che invece, senza di te, divenne per me un male. Infatti, se fossi
stato bene senza di te, forse non avrei voluto tornare a te. Perciò,
confessando i suoi peccati, costui disse in persona del corpo di Cristo
giustificato, non per sé, ma per la grazia di lui: «Non c’è inganno sulla mia
bocca».
Vangelo Lc 15,1-3.11-32
Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».