giovedì 31 marzo 2016

Gregorio Magno, Il Figlio manda i suoi nel mondo (II DOMENICA DI PASQUA C)


II DOMENICA DI PASQUA C


Il Signore, pur amando i suoi, li mandò nel mondo a patire
Gregorio Magno, Omelie sui Vangeli, 26,1-2

La prima domanda che ci pone questo testo evangelico è come potesse essere reale il corpo del Signore dopo la risurrezione, dal momento che aveva il potere di attraversare le porte chiuse. Ma bisogna sapere che le opere di Dio non sarebbero più mirabili se fossero comprensibili dalla nostra mente; né si ha il merito della fede quando la ragione umana fornisce le prove.

Dobbiamo considerare alla luce di tutta l’opera del Redentore quelle azioni che per se stesse non si possono comprendere, affinché i mirabili fatti della sua vita offrano argomento di fede a quanto ci appare più sorprendente. Infatti il corpo del Signore che entrò nel cenacolo a porte chiuse era quello stesso che al momento della sua nascita uscì agli occhi degli uomini dal grembo intatto della Vergine. Perché dunque meravigliarsi se dopo la risurrezione entrava a porte chiuse già vincitore in eterno, egli che era uscito dal seno intatto della Vergine quando era venuto per morire? Ma poiché la fede di coloro che contemplavano il suo corpo era titubante, subito mostrò loro le mani e il fianco, e fece toccare quella carne che era passata attraverso le porte chiuse.

In modo meraviglioso e incomparabile il nostro Redentore mostrò dopo la risurrezione il suo corpo incorruttibile ma palpabile, affinché l’incorruttibilità invitasse a conquistare il premio, e la possibilità di toccarlo fosse una conferma per la fede. Si mostrò incorruttibile e palpabile anche per dimostrare che il suo corpo dopo la risurrezione aveva la stessa natura, ma una diversa gloria.

Disse ai discepoli: «Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, così io mando voi» (Gv 20,21). Cioè: come il Padre, che è Dio, ha mandato me che sono Dio, così anch’io che sono uomo mando voi, uomini.

Il Padre mandò il Figlio a incarnarsi per la redenzione del genere umano. E pur mandandolo nel mondo verso la Passione, tuttavia amava quel Figlio che mandò a patire. Anche il Signore mandò nel mondo gli apostoli che si era scelti, non a godere ma come lui a patire. Dunque il Figlio è amato dal Padre, eppure vien mandato a soffrire; così, anche i discepoli sono amati dal Signore, e tuttavia sono mandati nel mondo a soffrire.

Per questo egli stesso dice: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21); cioè: consegnandovi allo scandalo di coloro che vi perseguiteranno, io vi amo con lo stesso amore con cui mi ama il Padre, che pur mi ha consegnato alle sofferenze della Passione.

Il fatto che dica di essere mandato, si può tuttavia intendere anche riguardo alla sua natura divina. Infatti si dice mandato dal Padre quello stesso Figlio che dal Padre è stato generato. Allo stesso modo, anche il Figlio promette di mandare, benché non incarnato, lo Spirito Santo che è uguale al Padre e al Figlio: «Quando verrà, dice, il Consolatore che io vi manderò dal Padre» (Gv 15,26). Se dunque dovessimo interpretare il verbo «essere mandato» soltanto nel senso di incarnarsi, senza dubbio non si sarebbe potuto applicare allo Spirito Santo poiché non si è mai incarnato. Ma la sua missione è nella sua stessa processione dal Padre e dal Figlio. E come dello Spirito si può dire che è mandato perché procede, così anche del Figlio che è generato non impropriamente si dice che è mandato.


Vangelo Gv 20, 19-31 
Otto giorni dopo, venne Gesù.

Dal vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

venerdì 25 marzo 2016

Giovanni Crisostomo(?), Questo è il giorno... (Domenica di Resurrezione C)

Domenica di Resurrezione C


Questo è il giorno fatto dal Signore
Da un'Omelia attribuita a Giovanni Crisostomo

“Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso!” (Sal 117,24). Perché? Perché il sole non è più oscurato ma tutto illumina; il velo del Tempio non è più squarciato, ma la Chiesa viene rivelata; non teniamo più rami di palme in mano, ma attorniamo i nuovi battezzati.

“Questo è il giorno fatto dal Signore”... Ecco il giorno nel senso proprio, il giorno trionfale, il giorno consacrato a celebrare la risurrezione, il giorno in cui ci adorniamo di grazia, il giorno in cui condividiamo l’Agnello spirituale, il giorno in cui abbeveriamo di latte coloro che sono appena nati, il giorno in cui si realizza il disegno della Provvidenza in favore dei poveri. “Rallegriamoci ed esultiamo in esso!”

Ecco il giorno in cui Adamo è stato liberato, in cui Eva è stata affrancata dalla sua pena, in cui la morte selvaggia ha tremato, in cui la potenza delle pietre è stata frantumata, in cui i catenacci delle tombe sono stati strappati..., in cui le leggi immutabili delle potenze degli inferi sono state abrogate, in cui il cielo si è aperto quando Cristo, nostro Maestro, è risuscitato. Ecco il giorno in cui, per il bene degli uomini, la pianta verdeggiante e fertile della risurrezione ha moltiplicato i suoi polloni nell’universo intero come in un giardino, in cui i gigli dei nuovi battezzati sono sbocciati..., in cui le folle dei credenti si rallegrano, in cui le corone dei martiri rinverdiscono. “Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso!”



Vangelo Gv 20, 1-9
Egli doveva risuscitare dai morti.

Dal vangelo secondo Giovanni

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

venerdì 18 marzo 2016

Romano il Melode, Gesù e Davide (Domenica delle Palme C)

Domenica delle Palme C

Con palme i bambini ti lodano,
chiamandoti figlio di David:
avevan ragione, o Maestro,
perché tu l’insolente hai ucciso
Golia spirituale.

Le danzatrici dopo la vittoria
così l’acclamarono:
Saul mille ne uccise, David diecimila (1Sam 18,6-7).
Questo la Legge sta a dire,
e dopo la tua grazia, o mio Gesù.

La Legge è Saul geloso che perseguita;
però su David perseguitato
sboccia il frutto di grazia,
poiché di David il Signor tu sei,
o Benedetto, venuto a richiamare Adamo...

Tu la forza manifesti
eleggendo l’indigenza.
Segno di povertà fu quello
infatti di sedersi sopra un asinello,
mentre con la tua gloria
fai vacillare Sion.

Le vesti dei discepoli eran certo
un marchio d’indigenza,
ma l’inno dei bambini e delle folle il grido (Mt 21,9)
eran di tua potenza il segno:
«Osanna nell’alto dei cieli» - ovvero:
Salvaci alfine; Salva, o Altissimo, gli oppressi.

Abbi pietà di noi, per queste palme;
I rami che si agitano il tuo cuore toccheranno,
tu che venuto sei per richiamare Adamo.
Adamo per noi contrasse,
mangiando il non dovuto,
il debito che ci opprime,
e fino ad oggi, al posto suo vien chiesto
a noi suoi discendenti.

Impadronirsi di sua vittima
dal creditor fu ritenuto poco;
incombe allor sui figli
reclamando del padre il debito,
svuota del debitor la casa,
tutti menando fuori.

A colui che è onnipotente
perciò noi ricorriamo:
conoscendo la nostra spoliazione,
assumiti tu il nostro debito,
tu ricco qual sei,
tu che venuto sei per richiamare Adamo.

Per liberare gli uomini venisti,
testimone il profeta Zaccaria,
che dolcissimo, giusto e salvatore,
un tempo t’ha chiamato (Zc 9,9).

Esausti e vinti siamo,
scacciati dappertutto.
Nella Legge credemmo intravedere
un liberator, però in servaggio
essa ormai ci ha ridotti;
quindi appello ai profeti
facemmo e sulla speranza ci han lasciati.

Per questo coi bambini
ci gettiamo ai tuoi piedi:
pietà di noi, oppressi;
consenti a subir la croce e la sentenza
tu della morte lacera,
tu che venuto sei per richiamare Adamo.

«O creatura della mano mia -
risponde il Creatore a quelli che sì gridano -,
sapendo che la Legge non aveva
potere di salvarti,
lo stesso son venuto.

Alla Legge salvarti non spettava,
perché non è lei che t’ha creato;
né dei profeti compito,
che creature mie come te erano.

Solo a me spetta d’affrancarti
dal debito oppressore.

Per te sono venduto, e sì ti libero;
per te son crocifisso, e dalla morte scampi;
muoio, così a gridar ti insegno:
Benedetto tu sei
tu che venuto sei per richiamare Adamo.

Ho forse io amato tanto gli angeli?
No, sei tu, il meschino, che io ho preferito.

La mia gloria offuscai,
e ricco, liberamente povero mi feci,
per amor tuo.

Per te ho sofferto
fame, sete e fatica.

Per monti, valli e per burroni ho corso,
pecorella smarrita, per cercarti;
nome di agnello presi
per ricondurti, attratta da mia voce;
e di pastore, per dare la mia vita
per te, e sottrarti al lupo.

Tutto perché tu gridi io sopporto:
Benedetto tu sei,
tu che venuto sei per richiamare Adamo».



Vangelo  Lc 19,28-40
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”».
Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno».
Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo:
«Benedetto colui che viene,
il re, nel nome del Signore.
Pace in cielo
e gloria nel più alto dei cieli!».
Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».

giovedì 10 marzo 2016

Ambrogio, Osserva i misteri di Dio e la clemenza di Cristo (V Domenica di Quaresima C)

V DOMENICA DI QUARESIMA C

Ambrogio, Osserva i misteri di Dio e la clemenza di Cristo
Lettere 26,11-20

Gli scribi e i farisei avevano condotto al Signore Gesù un’adultera con questo tranello: se l’avesse assolta sarebbe sembrato non tenere in nessun conto la legge se invece l’avesse condannata, avrebbe tradito la sua missione, essendo venuto per rimettere i peccati di tutti. Perciò gliela presentarono dicendo: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu, che ne dici?» (Gv 8,4).
Mentre essi così dicevano, Gesù chinò il capo e si mise a scrivere in terra col dito. E poiché aspettavano la sua risposta, alzando il capo disse: «Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7). Quale cosa è più divina di questa sentenza, che cioè punisca i peccati solo colui che è senza peccato? Come potresti sopportare che punisse i peccati degli altri chi difende i propri? Non si condanna da sé colui che condanna in altri ciò che egli stesso commette?
Questo disse Cristo, e intanto scriveva in terra. Che cosa? Forse così: «Tu osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio» (Mt 7,3). Scriveva in terra con quel dito con cui aveva scritto la legge. I peccatori «saranno scritti nella polvere» (Ger 7,13), i giusti in cielo, come disse ai discepoli: «Rallegratevi, perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20).
Udita quella parola, andarono via uno dopo l’altro cominciando dai più anziani, e riflettevano dentro di sé. Rimase soltanto Gesù e la donna, là in mezzo. È ben detto che uscirono fuori coloro che non volevano essere con Cristo: fuori c’è la lettera, dentro i misteri. Coloro che vivevano all’ombra della legge senza poter vedere il sole di giustizia, nelle sacre letture andavano dietro a cose paragonabili più alle foglie degli alberi che al frutto.
Finalmente, andati via quelli, rimase solo Gesù e la donna là in mezzo. Gesù resta solo per condonare il peccato, come egli aveva detto: «Ecco, verrà l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo» (Gv 16,32): non venne un intermediario e neppure un angelo, ma è il Signore stesso che salva il suo popolo. Resta solo, perché nessun uomo può avere in comune con Cristo il potere di rimettere i peccati. Questo potere è solo di Cristo, che portò il peccato del mondo. E meritò di essere assolta la donna che, mentre i Giudei se ne andavano, rimase sola con Gesù.
Gesù, alzando il capo, disse alla donna: «Dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,10-11).

Ammira i divini misteri e la clemenza di Cristo. Quando la donna viene accusata, Cristo china il capo, ma lo alza quando scompare l’accusatore: egli infatti non vuole condannare nessuno ma assolvere tutti. Che significa dunque: «Va’ e non peccare più»? Questo: poiché Cristo ti ha redento, la grazia corregga ciò che la pena non potrebbe emendare, ma solo piegare.




Vangelo Gv 8,1-11
Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. 
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. 
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

giovedì 3 marzo 2016

Agostino, Penetri da lontano i miei pensieri (IV Domenica di Quaresima C)

IV Domenica di Quaresima C


Agostino, Penetri da lontano i miei pensieri
Commento al Salmo 138, 3-5

«Penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie» (Sal 138,2-3). Perché da lontano? Mentre sono ancora in cammino, prima ancora che giunga lassù in patria, tu hai conosciuto il mio pensiero. Tu attendi con ansia quel figlio minore, poiché anch’egli è divenuto corpo di Cristo, Chiesa che viene a te da tutti i popoli. Il figlio minore infatti era andato lontano. Un padre di famiglia aveva due figli: il maggiore non si era allontanato, ma lavorava nel campo, e rappresenta i santi che nel tempo della legge compivano le opere e i precetti della legge.
Ma poi il genere umano, volgendosi al culto degli idoli, aveva vagato lontano. Qual cosa è tanto lontana dal tuo Creatore quanto la rappresentazione che te ne sei fatto da te stesso? Il figlio minore, dunque, parti per un paese lontano, portando con sé tutti i suoi averi, e, come sappiamo dal vangelo, li dissipò vivendo con prodigalità; tormentato dalla fame, si rivolse a un signore di quel paese, il quale gli affidò l’allevamento dei porci; desiderava saziarsi, con le loro carrube, ma non poteva.
Allora, dopo la fatica, la stanchezza, la tribolazione, la miseria, si ricordò del padre e decise di tornare; disse: «Mi leverò e andrò da mio padre» (Lc 15,18). Riconosci ora la sua voce che dice: «Tu sai quando seggo e quando mi alzo» (Sal 138,2). Mi sedetti nella miseria, mi rialzai nel desiderio del tuo pane. «Penetri da lontano i miei pensieri»: perciò il Signore dice nel vangelo che «il padre gli corse incontro» (Lc 15,20). Giustissimo, perché aveva penetrato da lontano i suoi pensieri: «Mi scruti quando cammino e quando riposo». Tu dunque conosci il mio cammino; quale, se non quello perverso che aveva seguito per andare lontano dal padre, come se potesse rimanere nascosto agli occhi di colui che poteva punirlo? Ma non avrebbe potuto essere logorato da quella miseria, né essere posto a pascolare i porci, se il padre non avesse voluto castigarlo lontano per riaverlo vicino. Perciò, come un fuggiasco messo alle strette, inseguito dal giusto castigo di Dio che ci punisce nei nostri affetti in qualunque luogo saremo andati e dovunque saremo arrivati, esclama: «Mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie». Prima ancora di andarvi, prima che io vi camminassi, tu le hai previste; e hai permesso che percorressi con dolore le mie vie affinché, per non soffrire, tornassi sulle tue.
Dice: «Non c’è inganno sulla mia lingua» (Sal 138,4 Volg.). Perché? Perché ecco, lo confesso: ho seguito il mio cammino, mi sono fatto straniero a te; mi sono allontanato da te con quello che mi sembrava un bene e che invece, senza di te, divenne per me un male. Infatti, se fossi stato bene senza di te, forse non avrei voluto tornare a te. Perciò, confessando i suoi peccati, costui disse in persona del corpo di Cristo giustificato, non per sé, ma per la grazia di lui: «Non c’è inganno sulla mia bocca».



Vangelo Lc 15,1-3.11-32
Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita.

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».