giovedì 22 ottobre 2015

Origine, Cristo è l'autentica luce del mondo (XXX Domenica Tempo Ordinario B)

XXX Domenica Tempo Ordinario B

Origine, Cristo è l'autentica luce del mondo 
Omelie sulla Genesi 1,6-7

Cristo è dunque "la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo" (Gv 1,9), e la Chiesa, illuminata dalla sua luce, diventa essa stessa "luce del mondo", che illumina "coloro che sono nelle tenebre" (Rm 2,19), come Cristo stesso attesta quando dice ai suoi discepoli: "Voi siete la luce del mondo" (Mt 5,14). Di qui deriva che Cristo è la luce degli apostoli, e gli apostoli, a loro volta, sono la luce del mondo...

E come il sole e la luna illuminano i nostri corpi, così da Cristo e dalla Chiesa sono illuminate le nostre menti. Quantomeno, le illuminano se noi non siamo dei ciechi spirituali. Infatti, come il sole e la luna non cessano di diffondere la loro luce sui ciechi corporali che però non possono accogliere la luce, così Cristo elargisce la sua luce alle nostre menti, epperò non ci illuminerà di fatto che se non vi si oppone la cecità del nostro spirito. In tal caso, occorre anzitutto che coloro che sono ciechi seguano Cristo dicendo e gridando: "Figlio di David, abbi pietà di noi" (Mt 9,27), affinché, dopo aver ottenuto da Cristo stesso la vista, possano successivamente essere del pari irradiati dallo splendore della sua luce.

Inoltre, non tutti i vedenti sono egualmente illuminati da Cristo, ma ciascuno lo è nella misura in cui egli può ricevere la luce. Gli occhi del nostro corpo non sono egualmente illuminati dal sole: più si salirà in alto, più si alzerà l’osservatorio dal quale lo sguardo contemplerà la sua levata, e meglio si percepirà anche il chiarore e il calore; analogamente, più il nostro spirito, salendo ed elevandosi, si sarà avvicinato a Cristo, esponendosi più da vicino allo splendore della sua luce, più magnificamente e brillantemente si irradierà il suo fulgore, come rivela Dio stesso per mezzo del profeta: "Avvicinatevi a me e io mi avvicinerò a voi, dice il Signore" (Za 1,3); e dice ancora: "Io sono un Dio vicino e non un Dio lontano" (Ger 23,23).

Non è però che tutti andiamo a lui nella stessa maniera, bensì ciascuno va a lui secondo le proprie possibilità (Mt 25,15). O andiamo a lui insieme alle folle e allora ci ristora in parabole (Mt 13,34), solo perché il prolungato digiuno non ci faccia soccombere lungo la via (Mt 15,32,Mc 8,3); oppure, rimaniamo continuamente e per sempre seduti ai suoi piedi, non preoccupandoci che di ascoltare la sua parola, senza lasciarci turbare "dai molti servizi, scegliendo la parte migliore" che non ci verrà tolta (cf. Lc 10,39s).

Avvicinandosi così a lui (Mt 13,36), si riceve da lui molta più luce. E se, al pari degli apostoli, senza allontanarci da lui sia pure di poco, restiamo sempre con lui in tutte le sue tribolazioni (Lc 22,28), allora egli ci espone e spiega nel segreto ciò che aveva detto alle folle (Mc 4,34) e ci illumina con maggiore chiarezza. E anche se si è capaci di andare a lui fino alla sommità del monte, come Pietro, Giacomo e Giovanni (Mt 17,1-3), non si verrà illuminati solamente dalla luce di Cristo, ma anche dalla voce del Padre in persona.

Vangelo Mc 10, 46-52
Rabbunì, che io veda di nuovo! 

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me! ».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

giovedì 15 ottobre 2015

Guerrico d'Igny, Il Figlio dell'uomo è venuto per servire (XXIX Domenica Tempo Ordinario B)

XXIX Domenica Tempo Ordinario B


Guerrico d'Igny,Il Figlio dell'uomo è venuto per servire
Discorso 1 sui rami delle palme

L'uomo è stato creato per servire il suo Creatore. Cosa c'è di più giusto infatti che servire colui che vi ha dato alla luce, senza il quale non potete esistere? E cosa c'è di più felice che servirlo, poiché servirlo è regnare? Eppure l'uomo ha detto al suo Creatore: «Non ti servirò» (Ger 2,20). «Allora ti servirò io, disse il Creatore all'uomo. Siediti, ti servirò, ti laverò i piedi»...
Sì, Cristo «servo buono e fedele» (Mt 25,21), hai veramente servito, hai servito in tutta fede e in tutta verità, in tutta pazienza e in tutta costanza. Senza tiepidezza ti sei lanciato come un prode per percorrere la via dell'obbedienza (Sal 18,3); senza fingere, ci hai dato in sovrappiù, dopo tante pene, la tua stessa vita; senza fiatare, flagellato e innocente, non apristi la bocca (Is 53,7). Sta scritto ed è vero: «Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse» (Lc 12,47). Ma questo servo, vi domando, quali degne azioni non ha compiuto? Cosa ha omesso di ciò che doveva fare? «Ha fatto bene ogni cosa», esclamavano coloro che osservavano la sua condotta, «fa udire i sordi e fa parlare i muti» (Mc 7,37). Ha compiuto ogni sorta di opere degne di ricompensa, allora come mai ha sofferto tante umiliazioni? Ha presentato le sue spalle alla frusta, ha ricevuto numerosi colpi atroci, dappertutto il suo sangue scorre. È stato interrogato in mezzo agli obbrobri e ai tormenti, come uno schiavo o un malfattore che sottopongono alla tortura per strappargli la confessione di un crimine. O superbia detestabile dell'uomo sdegnoso nel servire, e che non poteva essere umiliato se non con l'esempio della servitù del suo Dio!...
Si, mio Signore, hai molto faticato per servirmi; sarebbe giusto ed equo che d'ora in poi ti riposassi, mentre il tuo servo, a sua volta, cominciasse a servirti, è venuto il suo turno... Hai vinto, Signore, questo servo ribelle; stendo le mani per ricevere i tuoi legami, chino il capo per ricevere il tuo giogo. Permetti che io ti serva. Accoglimi per sempre come tuo servo, ancorché servo inutile finché la tua grazia non mi assista e mi affianchi nella mia fatica (Sap 9,10).

Vangelo Mc 10, 35-45, forma breve 10,42-45
Il Figlio dell'uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti.

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». 
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi cori Giacomo e Giovanni. Allora [Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».]

giovedì 8 ottobre 2015

Clemente di Alessandria, "Vendi ciò che hai", Che significa? (XXVIII Domenica Tempo Ordinario B)

XXVIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO B


"Vendi ciò che hai". Che significa?
Clemente di Alessandria, Quis dives, 11-14

"Vendi ciò che hai" (Mt 19,21). Che significa? Non quello che alcuni ammettono così a prima vista, che cioè il Signore ci comandi di far getto dei beni posseduti e di rinunciare alle ricchezze; ci comanda piuttosto di bandire dall’anima i pensieri usuali sulla ricchezza, la passione morbosa verso di essa, le preoccupazioni, le spine dell’esistenza che soffocano il seme della vita. Non è infatti nulla di grande e di desiderabile l’essere privi di ricchezze ma non per lo scopo di raggiungere la vita eterna: altrimenti i miserabili che non hanno nulla, che son privi di ogni mezzo, che mendicano ogni giorno il sostentamento, gli accattoni che giacciono per le vie e che pur non conoscono Dio e la giustizia di Dio, solo perché sono tanto poveri e non sanno procacciarsi da vivere e son privi anche del minimo necessario, dovrebbero essere i più beati e amati da Dio e i soli atti a possedere la vita. Non è una novità rinunciare alle ricchezze ed elargirle ai poveri e ai mendici: molti l’han fatto, prima che il Salvatore scendesse quaggiù: alcuni per aver tempo di dedicarsi agli studi e alla sapienza morta, altri per una fama vuota ed una gloria vana: gli Anassagora, i Democrito, i Cratete.

Cos’è dunque la novità, da lui annunciata come qualcosa proprio di Dio, che solo vivifica e che non salvò gli antichi? Cos’è la rarità, cos’è la «nuova creazione», che il Figlio di Dio proclama e insegna? Non qualcosa di manifesto o che altri han già fatto egli ci prescrive, ma qualcosa d’altro, più grande, più divino e più perfetto, che da quella vien simboleggiato: liberare l’anima e la sua intima disposizione dalle passioni, e rescindere ed estirpare dalla radice ciò che è estraneo alla ragione. È questa la scienza propria dell’uomo di fede, è questo l’insegnamento degno del Salvatore. Quegli antichi disprezzarono le cose esteriori, rinunciarono ai loro beni e li distribuirono, ma son convinto che alimentarono così le passioni dell’anima. Crebbero nella superbia, nella millanteria, nella vanagloria, e nel disprezzo degli altri uomini, come se avessero compiuto qualcosa di sovrumano. E come potrebbe il Salvatore comandare a coloro che vivranno in eterno ciò che è di danno e di rovina per la vita che egli promette? Inoltre è possibile anche questo: che uno deponga il peso dei propri possessi e tuttavia porti radicata e vivida in sé la brama e l’anelito alle ricchezze, ed è possibile anche che uno ne abbia perso l’uso, ma per la privazione e il desiderio di ciò che ha sperperato sia tormentato da una duplice sofferenza: la mancanza del necessario e il pentimento di ciò che ha fatto. È impossibile, è impensabile, infatti, che chi manca del necessario per la vita, non abbia l’animo tutto agitato e continuamente stimolato dalla continua ricerca di una situazione migliore: in che modo e dove se la possa procurare.

Ma quanto meglio è il contrario: che uno possegga il necessario, e così non debba soffrire lui e abbia da elargire agli altri ciò che conviene. Che possibilità ci sarebbe di beneficare il prossimo, se tutti non possedessero nulla? E come si potrebbe negare che questa dottrina non sia in netto contrasto con molti altri ottimi insegnamenti del Signore? "Fatevi degli amici con il mammona di iniquità, affinché quando giungerete alla fine, vi accolgano nelle tende eterne" (Lc 16,9). "Preparatevi tesori in cielo, dove né la ruggine, né la tignola distruggono, né i ladri scavano" (Mt 6,20). E come si potrebbe dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi e accogliere i pellegrini - e a quelli che non fan ciò vien minacciato il fuoco e le tenebre esteriori -, se prima non si possedesse tutto questo? Anzi, egli stesso comanda di accoglierlo come ospite a Zaccheo e a Matteo, che pur erano ricchi e pubblicani; e non comanda loro di rinunciare alle ricchezze, ma, dopo aver suggerito il retto uso e vietato quello ingiusto, soggiunge: "Oggi si è compiuta la salvezza per questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo" (Lc 19,9). Loda dunque l’uso delle ricchezze, imponendo però di comunicarle agli altri: dar da bere a chi ha sete, dar del pane a chi ha fame, accogliere lo straniero e vestire l’ignudo. Ora, nessuno può compiere questi uffici senza le ricchezze; eppure il Signore ci comanda di rinunciarvi. Che altro fa dunque se non imporre di dare e non dare, di nutrire e non nutrire, di accogliere e non accogliere, di comunicare agli altri e non comunicare? Ma ciò è assolutamente contraddittorio.

Non si hanno perciò da rigettare le ricchezze che devono servire a vantaggio del prossimo; sono possessi perché la loro caratteristica è di essere possedute e son dette beni perché servono al bene, e sono state preparate da Dio per i bisogni degli uomini. Esse dunque sono presenti, sono a portata, come materia, come strumento per servire ad un buon uso a chi bene le conosce. Se ne usi con intelligenza, lo strumento è intelligente; ma se manchi di intelligenza, partecipa alla tua mancanza di intelligenza, pur non avendone colpa. Un tale strumento, dunque sono le ricchezze. Ne puoi usare con giustizia: ti sono ministre di giustizia. Qualcuno ne usa ingiustamente? Scopriamo che sono ministre di ingiustizia. La loro natura è di servire, non di comandare. Non dobbiamo dunque rimproverare loro di non avere in sé né il bene né il male e di essere fuori causa; bensì dobbiamo rimproverare chi può usarne o bene o male come gli pare, cioè la mente e il giudizio umano, che è libero in sé e padrone di usare delle cose a lui concesse. Nessuno cerchi dunque di distruggere la ricchezza, ma le passioni dell’anima, che non permettono l’uso migliore dei beni, non lasciano che l’uomo sia veramente virtuoso e capace di usare rettamente della ricchezza. L’ordine dunque di rinunciare ai nostri beni e di vendere ciò che si possiede lo si deve intendere in questo modo: è stato impartito contro le passioni dell’animo.

Vangelo Mc 10, 17-30
Vendi quello che hai, poi vieni e seguimi.

Dal vangelo secondo Marco
[In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre"».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?».

Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».] Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».

giovedì 1 ottobre 2015

Ambrogio, È Dio l’autore dell’unione coniugale (XXVII Domenica Tempo Ordinario B)

XXVII Domenica Tempo Ordinario B


È Dio l’autore dell’unione coniugale
Ambrogio, Expositio Evangelii secundum Lucam, 8, 4-7

Non ripudiare quindi la tua sposa: significherebbe negare che Dio è l’autore della tua unione. Infatti se è tuo compito sopportare e correggere i costumi degli estranei, a maggior ragione lo è nei riguardi di tua moglie.
Ascolta quanto dice il Signore: "Chi ripudia la sposa ne fa un’adultera" (Mt 5,32). Colei infatti che, finché vive il marito, non può sposarsi di nuovo, può essere soggetta alla lusinga del peccato. Così colui che è responsabile dell’errore lo è anche della colpa, quando la madre è ripudiata con i suoi bambini, quando, già anziana e col passo ormai stanco, è messa alla porta. Ed è male scacciare la madre e trattenere i suoi figli: perché si aggiunge, all’oltraggio fatto al suo amore, la ferita nei suoi affetti materni. Ma più crudele è scacciare anche i figli per causa della madre, in quanto i figli dovrebbero piuttosto riscattare agli occhi del padre il torto della madre. Quale rischio esporre all’errore la debole età di un adolescente! E quale durezza di cuore scacciare la vecchiaia, dopo aver deflorato la giovinezza! Sarebbe lo stesso se l’imperatore scacciasse un soldato veterano senza compensarlo per i suoi servigi, togliendogli gli onori e il comando che ha; o che un agricoltore scacciasse dal suo campo il contadino spossato dalla fatica! Ciò che è vietato fare nei confronti dei sudditi, sarebbe dunque permesso nei riguardi dei congiunti?

Tu invece ripudi la tua sposa quasi fosse nel tuo pieno diritto, senza temere di commettere un’ingiustizia; tu credi che ciò ti sia permesso perché la legge umana non lo vieta. Ma lo vieta la legge di Dio: e se obbedisci agli uomini, devi temere Dio. Ascolta la legge del Signore cui obbediscono anche quelli che fanno le leggi: "Ciò che Dio ha unito, l’uomo non divida" (Mt 19,6).

Ma non è soltanto un precetto del cielo che tu violi: tu in certo modo distruggi un’opera di Dio.

Tu permetteresti - ti prego - che, te vivente, i tuoi figli dipendessero da un patrigno, oppure che, mentre è viva la loro madre, essi vivessero sotto una matrigna? E supponi che la sposa che hai ripudiata non torni a sposarsi: ebbene, ti era sgradita, quando eri suo marito, questa donna che si mantiene fedele a te, ora che sei adultero? Supponi invece che torni a sposarsi: la sua necessità è un tuo crimine, e ciò che tu credi un matrimonio in realtà è un adulterio. E senza importanza che tu commetta adulterio pubblicamente, oppure che tu lo commetta sembrando marito; c’è solo il fatto che la colpa commessa per principio è più grave di quella commessa furtivamente.

Forse qualcuno potrà dire: "Ma allora perché Mosè ha comandato di dare il libello di divorzio e di licenziare la moglie?" (Mt 19,7 Dt 24,1). Chi parla in questo modo è giudeo, non è cristiano: egli obietta ciò che fu obiettato al Signore, e perciò lasciamo al Signore il compito di rispondergli: "Per la durezza del vostro cuore" - dice - "Mosè vi permise di dare il libello del divorzio e di ripudiare le mogli; ma all’inizio non era così" (Mt 19,8). Cioè egli dice che Mosè lo ha permesso, ma Dio non lo ha ordinato: all’inizio valeva la legge di Dio. Qual è la legge di Dio? "L’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua sposa, e saranno due in una carne sola" (Gn 2,24 Mt 19,5). Dunque chi ripudia la sposa, dilania la sua carne, divide il suo corpo.



Vangelo Mc 10, 2-16, forma breve 10, 2-12
L'uomo non divida quello che Dio ha congiunto.

Dal vangelo secondo Marco
[In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall'inizio della creazione (Dio) li fece maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».]
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

giovedì 24 settembre 2015

Isacco di Antiochia, Combattere il peccato nell'anima (XXVI Domenica Tempo Ordinario B)


XXVI Domenica Tempo Ordinario B


Nell’anima, e non nel corpo, si deve combattere il peccato
Isacco di Antiochia, Carme sulla penitenza

"Se uno dei tuoi membri ti è d’inciampo, taglialo e gettalo via da te come ci vien comandato" (Mt 5,30). E ancora: "Se un tuo occhio ti è di scandalo, strappalo e gettalo via dal tuo viso" (Mt 5,29 Mc 9,47). Ma l’agiografo non ti insegna a distruggere in realtà le tue membra: tu non devi annientare ciò che Dio ha creato, perché egli ha creato tutto bene. L’occhio non ha mai commesso un adulterio, perché questo peccato non rientra nelle sue azioni; e neppure la mano ha mai commesso furto, perché essa è per sua natura priva d’intelligenza. Vi sono adulteri ciechi e ladri monchi; non pensare, perciò, che la causa dei peccati sia nella mano o nell’occhio. Ma è il tuo spirito piuttosto che vede qualcosa e lo brama; contro di lui devi combattere. È la bramosia cattiva che ti è di impaccio: taglia essa via da te e gettala lontano: ciò ti è comandato. Il pazzo si recide le membra, ma non allontana, con ciò, il male da sé. Una parte del suo corpo in tal modo è stata asportata e gettata, ma il peccato è ancora attivo in lui. Le membra ubbidiscono alla tua anima come docili discepoli, e configurano le loro azioni secondo il modello da essa proposto.
All’uomo esteriore corrisponde quello interiore, e l’uomo percepibile al di fuori è simile a quello nascosto, all’uomo spirituale. Anche l’uomo interiore ha occhi, ha orecchie e mani, proprio come quello esteriore e ha i suoi sensi. Chiudi i tuoi occhi e comprenderai che non solo l’organo visivo corporeo può vedere; tappa le orecchie e odi il tumulto dei tuoi pensieri! Vedi: esso ti travolge in una guerra crudele; perché tendi le tue orecchie a ciò che sta di fuori? Vedi: in casa tua vi sono i ladri; dove corri tu, dietro di loro? Perché dunque le tue membra hanno peccato? Combatti contro la tua anima! Ciò che è esterno non è in te causa di peccato: con l’interno devi sostenere battaglia. Ma anche se riuscissero a tagliare dal loro corpo la concupiscenza malvagia coloro che si son mutilati delle proprie stesse membra, non otterrebbero con ciò la giustizia.
Anche l’Apostolo, come abbiam visto sopra, biasima quei vili che sono crudeli col loro corpo, ma non vivono in onore, come conviene. Secondo la tua idea, quale tuo membro sarebbe tanto aggravato di peccati che, amputando esso solo, tu possa allontanare il male dal tuo corpo? I tuoi discorsi sono peggiori di un adulterio e ciò che ascolti è più perverso del furto; la tua bocca commette continuamente il grave crimine dell’omicidio, le tue labbra sono come un arco teso e le tue parole producono ira; senza pietà ricopri di ridicolo coloro che si rivolgono a te. La tua lingua è più acuta di una spada e il tuo occhio è rivolto al male. Tutto ciò è in te nascosto, e tu credi che vi sia un unico male? Se tu vuoi tagliarti un membro, taglia piuttosto questo male che hai dentro. Invece che un membro, che non ha peccato, colpisci la causa di tutte le colpe, non essere un giudice ingiusto tra il tuo corpo e la tua anima; come arbitro, non condannare l’innocente invece del colpevole. Rimprovera l’uomo spirituale che sta nascosto in te e rivolgi il tuo furore verso chi in te si cela, non verso chi in te è visibile!


Vangelo Mc 9,38-43.45.47-48
Chi non è contro di noi è per noi. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala. 

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geenna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

giovedì 17 settembre 2015

San Basilio, Se uno vuol essere il primo... (XXV Domenica Tempo Ordinario B)

XXV Domenica Tempo Ordinario B

Se uno vuol essere il primo...
San Basilio, Omelia sull'umiltà,5-6

Ricordati di quel proverbio: « Dio resiste ai superbi; agli umili invece dà la sua grazia» (Gc 4, 6). Sia presente nella tua mente la parola del Signore: « Chi si abbasserà sarà innalzato, e chi si innalzerà sarà abbassato » (Mt 23, 12)… Se ti sembra di avere qualcosa di buono, mettilo sul tuo conto, ma senza dimenticare le tue colpe; non gonfiarti del bene che hai fatto oggi, non scartare il male recente e passato; se il presente è per te motivo di vanagloria, ricordati il passato; così inciderai questo stupido ascesso! E se vedi peccare il tuo prossimo, guardati dal considerare in lui soltanto questa colpa, ma pensa pure al bene che fa o ha fatto; e sovente, lo scoprirai migliore di te, se esamini l’insieme della tua vita, e non fai il calcolo di cose frammentarie, perché Dio non esamina l’uomo in modo frammentario… Ricordiamoci spesso tutto ciò per preservarci dalla superbia, abbassandoci per essere innalzati.
Imitiamo il Signore che scese dal cielo fino all’ultimo abbassamento… Ma dopo un tale abbassamento, fece risplendere la sua gloria, glorificando con lui coloro che erano stati disprezzati con lui. Tali infatti erano i suoi primi discepoli, che poveri e nudi, percorsero l’universo, senza alcuna parola di Saggezza, senza scorta fastosa, ma soli, erranti e nella pena, vagabondi sulla terra e sul mare, battuti con le verghe, lapidati, perseguitati e in fine messi a morte. Tali sono per noi gli insegnamenti divini del Padre nostro. Imitiamoli per giungere, anche noi, alla gloria eterna, quel dono perfetto e vero di Cristo.


Vangelo Mc 9, 30-37
Il Figlio dell'uomo viene consegnato... Se uno vuole essere il primo, sia il servitore di tutti. 

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnào. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

venerdì 11 settembre 2015

San Cirillo di Gerusalemme, E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire (XXIV Domenica Tempo Ordinario B)

XXIV Domenica Tempo Ordinario B

E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire
Cirillo di Gerusalemme, Catechesi 13, 3-4 

Non dobbiamo vergognarci della croce del Salvatore, ma anzi gloriarcene. Perché se è vero che la parola della croce è « scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani » (1 Cor 1, 18.23), per noi è fonte di salvezza. Se per quelli che vanno in perdizione è stoltezza, per noi che siamo stati salvati è fortezza di Dio. Infatti non era un semplice uomo colui che diede la vita per noi, bensì il Figlio di Dio, Dio fatto uomo. Se una volta quell’agnello, immolato secondo la prescrizione di Mosè, teneva lontano l’angelo sterminatore, non dovrebbe avere maggior efficacia per liberaci dai peccati « l’Agnello che toglie il peccato del mondo » (Gv 1, 29) ?
Sì, Gesù ha veramente sofferto per tutti gli uomini. La croce non era un simulacro. Altrimenti anche la redenzione sarebbe stato un simulacro. La morte non era un’illusione; la Passione fu reale. Cristo è stato veramente crocifisso; non dobbiamo vergognarcene. È stato crocifisso; non dobbiamo negarlo. Anzi, lo dico con fierezza… Riconosco la croce perché ho conosciuto la risurrezione. Se il crocifisso fosse rimasto nella morte, forse non avrei riconosciuto la croce e l’avrei nascosta, come pure avrei nascosto il mio Maestro. Invece la risurrezione ha fatto seguito alla croce, e non mi vergogno di parlare di essa.

Dobbiamo dunque gloriarci piuttosto che vergognarci della  croce del Salvatore, perché parlare di croce è scandalo per i giudei e pazzia per i greci, ma per noi è annunzio di salvezza. La croce, follia per quanti vanno alla perdizione, per noi che da essa abbiamo la salvezza è potenza di Dio, in quanto come detto chi su di essa morì era il Figlio di Dio, Dio fatto uomo e non un semplice uomo. Se ai tempi di Mosè un agnello poté allontanare l’angelo sterminatore, logicamente e molto più efficacemente l’Agnello di Dio poté addossarsi i peccati del mondo per liberarlo dalle sue colpe. Se poté il sangue d’un ovino senza ragione diventare un’efficace salvaguardia, non poté e non dové con maggiore efficacia procurarci salvezza il sangue dell’Unigenito? Chi non crede che il Crocifisso ne abbia avuto il potere, lo chieda ai demoni che ne sanno qualcosa; se non crede alle parole, creda all’evidenza dei fatti: ai demoni non ha incusso paura nessun altro fra i tanti che sono stati crocifissi sulla terra: il Cristo, crocifisso per noi, terrorizza i demoni con il solo segno della sua croce, per il fatto stesso di essere morto in croce non come gli altri giustiziati perché colpevoli, ma per le colpe altrui. Sta scritto: «Egli non fece peccato, né fu trovato inganno nella sua bocca», e lo disse non Pietro che potremmo sospettare di benevolenza verso il suo Maestro, bensì Isaia che non vide Cristo presente con i suoi occhi di carne ma ne previde l’avvento nella carne con quelli dello spirito. Perché del resto produrre soltanto questa testimonianza del profeta? Prendi come testimone lo stesso Pilato che fu suo giudice e lo condannò, ma disse: «Non trovo colpa alcuna in quest’uomo», poi lo consegnò ma se ne lavò le mani e protestò: «Sono innocente del sangue di costui». Prendi anche la testimonianza del ladrone, primo a ottenere da Cristo il paradiso, che riprendeva il vicino dicendogli: «Noi abbiamo la pena che ci meritiamo, ma egli non ha fatto alcun male; al giudizio eravamo presenti sia io che tu»

Gesù dunque patì veramente per tutti gli uomini. La sua croce non fu mèra apparenza, altrimenti sarebbe anche un’apparenza la nostra redenzione. La sua morte non fu immaginaria, altrimenti sarebbe anche un mito la nostra salvezza. Se la sua morte non fosse stata reale avrebbero insinuato la verità quanti dicevano: «Ci siamo ricordati che quel seduttore da vivo affermava: “Dopo tre giorni risorgerò”...». No, fu vera la sua passione; vera infatti fu la sua crocifissione, della quale non ci vergogniamo affatto. Fu crocifisso, e noi non lo rinneghiamo; ne parlo e me ne glorio!. Se invero qui ora lo negassi, insorgerebbero per confutarmi questo Golgota dove adesso siamo tutti riuniti, il legno della croce che questo paese ha ormai distribuito per tutta la terra in piccoli frammenti. Riconosco del resto la croce dopo averne conosciuto la risurrezione, perché se il crocifisso fosse rimasto morto, forse piuttosto che riconoscere il mio Maestro lo nasconderei assieme alla sua croce. Ve ne parlo senza vergogna perché dopo la crocifissione ci fu la risurrezione.

Vangelo Mc 8, 27-35
Tu sei il Cristo... Il Figlio dell'uomo dove molto soffrire.

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. 
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».