venerdì 27 novembre 2015

Gregorio Magno, La fine del mondo segna il trionfo di Gesù Cristo (Avvento I Domenica C)

I Domenica di Avvento C


La fine del mondo segna il trionfo di Gesù Cristo e il premio degli eletti.
Gregorio Magno, Sermone 1, 1-3

Fratelli carissimi, il nostro Signore e Redentore, volendoci trovare preparati e per allontanarci dall’amore del mondo, ci dice quali mali ne accompagnino la fine. Ci scopre quali colpi ne indichino la fine, in modo che se non temiamo Dio nella tranquillità, il terrore di quei colpi ci faccia temere l’imminenza del suo giudizio. Infatti alla pagina del santo Vangelo che avete ora sentito, il Signore poco prima ha premesso: "Si leverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno terremoti, pestilenze e carestie dappertutto" (Lc 21,10-11); e poi ancora: "Ci saranno anche cose nuove nel sole, nella luna e nelle stelle; sulla terra le genti saranno prese da angoscia e spavento per il fragore del mare in tempesta" (Lc 21,25); dalle cui parole vediamo che alcune cose già sono avvenute e tremiamo per quelle che devono ancora arrivare. Che le genti si levino contro altre genti e che la loro angoscia si sia diffusa sulla terra l’abbiam visto più ai nostri tempi che non sia avvenuto nel passato. Che il terremoto abbia sconquassato innumerevoli città, sapete quante volte l’abbiam letto. Di pestilenze ne abbiamo senza fine. Di fatti nuovi nel sole, nella luna e nelle stelle, apertamente per ora non ne abbiam visto nulla, ma che non siano lontani ce ne dà un segno il cambiamento dell’aria. Tuttavia prima che l’Italia cadesse sotto la spada dei pagani, vedemmo in cielo eserciti di fuoco, cioè proprio quel sangue rosseggiante del genere umano, che poi fu sparso. Di notevoli confusioni di onde e di mare non ne abbiamo ancora avute, ma poiché molte delle cose predette già si sono avverate, non c’è dubbio che avvengano anche le poche, che ancora non si sono avverate; il passato è garanzia del futuro.

Queste cose, fratelli carissimi, le andiamo dicendo, perché le vostre menti stiano vigilanti nell’attesa, non s’intorpidiscano nella sicurezza, non s’addormentino nell’ignoranza e vi stimoli alle opere buone il pensiero del Redentore che dice: "Gli abitanti della terra moriranno per la paura e per il presentimento delle cose che devono avvenire. Infatti le forze del cielo saranno sconvolte" (Lc 21,26). Che cosa il Signore intende per forze dei cieli, se non gli angeli, arcangeli, troni, dominazioni, principati e potestà, che appariranno visibilmente all’arrivo del giudice severo, perché severamente esigano da noi ciò che oggi l’invisibile Creatore tollera pazientemente? Ivi stesso si aggiunge: "E allora vedranno venire il Figlio dell’uomo sulle nubi con gran potenza e maestà". Come se volesse dire: Vedranno in maestà e potenza colui che non vollero sentire nell’umiltà, perché ne sentano tanto più severamente la forza, quanto meno oggi piegano l’orgoglio del loro cuore innanzi a lui.

Ma poiché queste cose sono state dette contro i malvagi, ecco ora la consolazione degli eletti. Difatti viene soggiunto: "All’inizio di questi avvenimenti, guardate e sollevate le vostre teste, perché s’avvicina il vostro riscatto". È la Verità che avverte i suoi eletti dicendo: Mentre s’addensano le piaghe del mondo, quando il terrore del giudizio si fa palese per lo sconvolgimento di tutte le cose, alzate la testa, cioè prendete animo, perché, se finisce il mondo, di cui non siete amici, si compie il riscatto che aspettate. Spesso nella Scrittura il capo sta per la mente, perché come le membra son guidate dal capo, così i pensieri sono ordinati dalla mente. Sollevare la testa, quindi, vuol dire innalzare le menti alla felicità della patria celeste. Coloro, dunque, che amano Dio sono invitati a rallegrarsi per la fine del mondo, perché presto incontreranno colui che amano, mentre se ne va colui ch’essi non amavano. Non sia mai che un fedele che aspetta di vedere Dio, s’abbia a rattristare per la fine del mondo. Sta scritto infatti: "Chi vorrà essere amico di questo mondo, diventerà nemico di Dio" (Gc 4,4). Colui che, allora, avvicinandosi la fine del mondo, non si rallegra, si dimostra amico del mondo e nemico di Dio. Ma non può essere questo per un fedele, che crede che c’è un’altra vita e l’ama nelle sue opere. Si può dispiacere della fine di questo mondo, chi ha posto in esso le radici del suo cuore, chi non tende a una vita futura, chi neanche sospetta che ci sia. Ma noi che sappiamo dell’eterna felicità della patria, dobbiamo affrettarne il conseguimento. Dobbiamo desiderare d’andarvi al più presto possibile per la via più breve. Quali mali non ha il mondo? Quale tristezza e angustia vi manca? Che cosa è la vita mortale, se non una via? E giudicate voi stessi, fratelli, che significherebbe stancarsi nel cammino d’un viaggio e tuttavia non desiderare ch’esso sia finito.


Vangelo Lc 21,25-28,34-36
La vostra liberazione è vicina.

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saran­no segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le po­tenze dei cieli infatti saranno sconvolte. 
Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nu­be con grande potenza e gloria. 
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risol­levatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.

State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'im­provviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Ve­gliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di com­parire davanti al Figlio dell'uomo».

giovedì 19 novembre 2015

Agostino, La città terrena e la città di Dio (N.S. Gesù Cristo Re dell'Universo B)

N.S. Gesù Cristo Re dell'Universo B


La città terrena e la città di Dio
Agostino, De civitate Dei, 14,28;19,17

Due amori fondarono due città: l’amore di sé fino al disprezzo di Dio fondò la città terrena; l’amore di Dio fino al disprezzo di sé, invece, la città celeste. Perciò quella si gloria in se stessa, questa nel Signore. Quella ricerca la gloria dagli uomini; la gloria più grande di questa, invece, è Dio, testimone della sua coscienza. Quella innalza il capo nella sua gloria; questa dice al suo Dio: "Gloria mia, che innalza il mio capo" (Sal 3,4). Quella è dominata dalla brama di dominio sui principi o sulle nazioni soggiogate; in questa si servono a vicenda, nella carità, i capi governando, i sudditi obbedendo. Quella ama, nei suoi potenti, la propria forza; questa dice al suo Dio: "Amo te, o Signore, o forza mia" (Sal 17,2)
Quindi nella città terrena i suoi filosofi, che vivevano secondo l'uomo, hanno dato rilievo al bene o del corpo o dell'anima o di tutti e due. Coloro poi che poterono conoscere Dio, non lo adorarono e ringraziarono come Dio, si smarrirono nei propri pensieri e fu lasciato nell'ombra il loro cuore stolto perché credevano di esser sapienti, cioè perché dominava in loro la superbia in quanto si esaltavano nella propria sapienza. Perciò divennero sciocchi e sostituirono alla gloria di Dio non soggetto a morire l'immagine dell'uomo soggetto a morire e di uccelli e di quadrupedi e di serpenti e in tali forme di idolatria furono guide o partigiani della massa. Così si asservirono nel culto alla creatura anziché al Creatore che è benedetto per sempre (Rm 1, 21-23.25).
Nella città celeste invece l'unica filosofia dell'uomo è la religione con cui Dio si adora convenientemente, perché essa attende il premio nella società degli eletti, non solo uomini ma anche angeli, affinché Dio sia tutto in tutti.(1 Cor 15, 28)

Ma la famiglia di persone, che non vivono di fede, persegue la pace terrena dagli utili e interessi di questa vita che scorre nel tempo. Invece la famiglia delle persone che vivono di fede attende quei beni che sono stati promessi come eterni nell'aldilà e usa i beni terreni posti nel tempo come un esule in cammino. Non usa cioè di quelli da cui sia attratta e stornata dalla via con cui tende a Dio, ma di quelli con cui sia sorretta a sostenere più agevolmente e non accrescere affatto i fardelli del corpo corruttibile che appesantisce l'anima (cf. Sap 9, 15). Perciò l'uso dei beni necessari a questa vita, posta nel divenire, è comune alle une e alle altre persone, all'una e all'altra famiglia, ma l'intento dell'uso è esclusivamente personale ad ognuno e assai diverso. Così anche la città terrena, che non vive di fede, desidera la pace terrena e stabilisce la concordia del comandare e obbedire dei cittadini, affinché vi sia un certo consenso degli interessi nei confronti dei beni pertinenti alla vita soggetta al divenire. Invece la città celeste o piuttosto quella parte di essa, che è esule in cammino nel divenire e vive di fede, necessariamente deve trar profitto anche da questa pace fino a che cessi la soggezione al divenire, alla quale è indispensabile una tale pace. Perciò, mentre nella città terrena essa conduce una vita prigioniera del suo cammino in esilio, ricevuta ormai la promessa del riscatto e il dono della grazia spirituale come caparra, non dubita di sottomettersi alle leggi della città terrena, con le quali sono amministrati i beni messi a disposizione della vita che è nel divenire. Così, essendo comune l'essere nel divenire, nei beni che lo riguardano è mantenuta la concordia fra le due città. La città terrena però ha avuto alcuni dotti, che l'insegnamento divino condanna, i quali, o per una loro ipotesi o perché ingannati dai demoni, hanno creduto che molti dèi si devono rendere benevoli agli interessi umani e che determinati oggetti spettano per assegnazione a determinate loro competenze, ad uno il corpo, a un altro lo spirito e nel corpo ad uno la testa, ad un altro il collo e ognuna delle altre parti a ognuno di loro. Ugualmente nello spirito a uno spetta l'intelligenza, all'altro la scienza, ad uno l'ira, all'altro l'avidità, e per le cose che sono necessarie alla vita, a uno il bestiame, a un altro il grano, a uno il vino, a un altro l'olio, ad uno i boschi, a un altro il denaro, ad uno la navigazione, a un altro guerre e vittorie, ad uno i matrimoni, a un altro parti e fecondità, e ad altri altri beni. La città del cielo sa invece che un solo Dio si deve adorare e ritiene con vero sentimento religioso che a lui soltanto si deve essere sottomessi con quella sottomissione la quale in greco è detta , e soltanto a Dio si deve. È avvenuto quindi che non poteva avere in comune le leggi della religione con la città terrena e che a loro difesa necessariamente doveva dissentire da essa e che era di peso agli altri, i quali la pensavano diversamente, e che doveva sopportare la loro collera, gli odî e gli assalti delle persecuzioni, salvo quando riuscì a trattenere l'efferatezza degli avversari, qualche volta per paura del numero e sempre con l'aiuto di Dio. Dunque questa città del cielo, mentre è esule in cammino sulla terra, accoglie cittadini da tutti i popoli e aduna una società in cammino da tutte le lingue. Difatti non prende in considerazione ciò che è diverso nei costumi, leggi e istituzioni, con cui la pace terrena si ottiene o si mantiene, non invalida e non annulla alcuna loro parte, anzi conserva e rispetta ogni contenuto che, sebbene diverso nelle varie nazioni, è diretto tuttavia al solo e medesimo fine della pace terrena se non ostacola la religione, nella quale s'insegna che si deve adorare un solo sommo e vero Dio. Dunque anche la città del cielo in questo suo esilio trae profitto dalla pace terrena, tutela e desidera, per quanto è consentito dal rispetto per il sentimento religioso, l'accordo degli umani interessi nel settore dei beni spettanti alla natura degli uomini soggetta al divenire e subordina la pace terrena a quella celeste. Ed essa è veramente pace in modo che unica pace della creatura ragionevole dev'essere ritenuta e considerata l'unione sommamente ordinata e concorde di avere Dio come fine e l'un l'altro in lui. Quando si giungerà a quello stesso stato, non vi sarà la vita destinata a morire, ma definitivamente e formalmente vitale, né il corpo animale che, finché è soggetto a corruzione, appesantisce l'anima, ma spirituale senza soggezione al bisogno e interamente sottomesso alla volontà. La città del cielo, mentre è esule in cammino nella fede, ha questa pace e vive onestamente di questa fede, quando al conseguimento della sua pace eterna subordina ogni buona azione, che compie verso Dio e il prossimo, perché la vita della città è essenzialmente sociale.

Vangelo Gv 18, 33b-37Tu lo dici: io sono re.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giu­deo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno con­segnato a me. Che cosa hai fatto?». 
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

giovedì 12 novembre 2015

Beda il Venerabile, Anche per l'albero c'è speranza (XXXIII Domenica Tempo Ordinario B)

XXXIII Domenica Tempo Ordinario B


Beda il Venerabile, Anche per l'albero c'è speranza
Commento su Marco, Lib. 4

«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, e la luna non darà più il suo splendore, e gli astri si metteranno a cadere dal cielo». Nel giorno del giudizio le stelle appariranno oscure non perché diminuirà la loro luce, ma perché si avvicinerà e sopraggiungerà lo splendore della vera luce, cioè del sommo giudice, quando verrà nella maestà sua e del Padre e degli angeli santi. Ma in verità nulla ci vieta d’intendere che allora veramente il sole e la luna con tutte le altre stelle saranno per un certo tempo private della luce, come ci risulta essere accaduto al sole all’epoca della passione del Signore. Resta perciò non compiuta fino a oggi quella profezia con cui Gioele disse: «Il sole si cambierà in tenebre e la luna in sangue, prima che venga il giorno del Signore, grande e terribile» (Gl 3,4); e ciò che disse del giorno del giudizio Isaia: «Arrossirà la luna, impallidirà il sole, perché il Signore degli eserciti regna sul monte Sion e in Gerusalemme e davanti ai suoi anziani sarà glorificato» (Is 24,23). Compiuto dunque il giorno del giudizio e mentre splenderà la gloria della vita futura, quando ci saranno «nuovi cieli e una nuova terra» (2Pt 3,13), allora accadrà ciò che dice altrove lo stesso profeta: «La luce della luna sarà come la luce del sole e la luce del sole sarà sette volte di più, come la luce di sette giorni» (Is 30,26 Volg.).

«E le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte». Non è strano se gli uomini, i quali per natura e intelligenza sono terrestri, si turbano a questo giudizio al cui manifestarsi anche le stesse potenze celesti, cioè le potestà angeliche, tremeranno, come testimonia anche il beato Giobbe che dice: «Le colonne dei cielo si scuotono, sono prese da stupore alla sua minaccia» (Gb 26,11). Che cosa avverrà delle decorazioni quando tremano le colonne, che cosa patirà l’erba dei deserto quando è scosso il cedro del paradiso?

«Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità dei cielo». Non rimarrà dunque in quel giorno nessun eletto che non vada incontro al Signore che viene sulle nubi per giudicare, sia che venga trovato ancora vivo nel corpo, sia che venga risuscitato dalla morte alla vita. Vengono al giudizio anche i reprobi, e anch’essi, alcuni sono trovati vivi nel corpo, e altri risuscitati dalla morte alla vita; ma, a differenza dei giusti che saranno riuniti per la gioia del Signore, i suoi nemici, compiuto il giudizio, saranno dispersi e scompariranno dallo sguardo di Dio (cfr. Sal 67,2-3).

«Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l’estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte». Con l’esempio dell’albero ci ammaestra su quando verrà la fine. Come, quando i ramoscelli sono teneri sull’albero di fico e la gemma si apre nel fiore e la corteccia si riempie di foglie, voi capite che s’avvicina l’estate e sono arrivati il favonio e la primavera; così, quando vedrete accadere tutte le cose che sono state descritte, non dovete credere che sia già venuta la fine dei mondo, ma che sono giunti certi annunzi e segni premonitori (cfr. Mt 24,33) per mostrare che l’evento è ormai alle porte.

Ma questa fioritura dei fico può anche essere intesa, secondo il significato mistico, in modo più profondo; può riferirsi cioè alla condizione della Sinagoga la quale un tempo, quando venne a lei il Signore, non avendo in sé il frutto della giustizia, fu condannata all’eterna sterilità in coloro che allora erano increduli (cfr. Mt 21,18-19; Mc 11,12-14.20-21). Ma poiché l’Apostolo ha detto: «L’indurimento di una parte d’Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato» (Rm 11,25-26), quando verrà questo tempo in cui, tolta la lunga cecità, tutto Israele otterrà la luce e la salvezza, allora accadrà che l’albero del fico a lungo sterile (cfr. Lc 13,6-7) darà il frutto che aveva negato, secondo le parole del beato Giobbe: «Anche per l’albero c’è speranza: se viene tagliato ancora ributta e i suoi germogli non cessano di crescere; se sotto terra invecchia la sua radice e al suolo muore il suo tronco, al sentore dell’acqua rigermoglia e mette rami come nuova pianta» (Gb 14,7-9). Quando vedrai accadere tutto ciò non avere più dubbi: il giorno dell’ultimo giudizio e l’estate della vera pace sono ormai prossimi.


Vangelo Mc 13, 24-32
Figlio dell'uomo radunerà i suoi eletti dai quattro venti. 

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

giovedì 5 novembre 2015

Paolino da Nola, Investire i talenti ricevuti nella banca del Signore (XXXII Domenica del Tempo Ordinario B)

XXXII Domenica del Tempo Ordinario B

Investire i talenti ricevuti nella banca del Signore
Paolino da Nola, Lettere, 34, 2-4

L’apostolo Paolo grida: "Non abbiamo portato nulla venendo in questo mondo, neanche lo possiamo portar via" (1Tm 6,7) e anche: "Che cosa hai, che tu non abbia ricevuto?" (1Cor 4,7). Perciò, carissimi, non siamo avari del nostro, ma diamo a interesse ciò che ci è stato affidato. Abbiamo ricevuto dei beni, da usare come temporale merce di scambio, non come possesso eterno di cosa privata. Se li riconoscerai come temporaneamente tuoi sulla terra, potrai fartene una ricchezza eterna nei cieli. Se ti ricorderai di quei tali che ricevettero dei talenti dal Signore e che cosa il padre di famiglia diede loro in compenso, capirai quanto sia meglio mettere il danaro alla banca del Signore, perché si moltiplichi; capirai con quanta sterilità di fede, con quanta perdita per il servo inutile, fu conservato quel talento, che fruttò solo un aumento di pena a chi l’aveva nascosto.

Sbrigati, dunque, per meritar di sentir le parole: "Via, servo buono, entra nel gaudio del tuo signore" (Mt 25,21), piuttosto che le altre: "Servo malvagio e pigro ti giudico dalle tue parole" (Lc 19,21); il servo pigro fu gettato in carcere, il suo talento fu dato a chi era già ricco per la moltiplicazione dei suoi crediti, e il Signore sentenziò: "A colui che ha sarà dato, a chi non ha, sarà tolto anche ciò che ha" (Mt 25,29). Ricordiamoci anche di quella vedova che, trascurando se stessa per amor dei poveri, testimone lo stesso Giudice, si privò di tutto il suo cibo: Gli altri hanno dato parte di ciò che loro sovrabbondava, essa, invece più bisognosa forse anche di molti poveri, che aveva solo due spiccioli, ma nell’animo era più ricca di tutti i ricchi, interessata solo dell’eterna mercede, cupida del tesoro celeste, rinunciò a tutto ciò che proviene dalla terra e si riconverte in terra. Diede ciò che aveva, per poter possedere ciò che non aveva ancora visto. Diede cose corruttibili, per procurarsi le incorruttibili. Quella poveretta non disprezzò il criterio di Dio circa la ricompensa futura, e il giudice finale non trascurò il suo gesto e preannunziò la sua sentenza; predicò nel vangelo colei che avrebbe coronato il giorno del giudizio.

Diamo, dunque, a interesse al Signore i suoi stessi doni; non abbiamo, infatti, nulla che non sia suo dono, noi che siamo noi stessi, un suo dono. E noi, in verità, che cosa possiamo ritenere nostro, se per un più grande e speciale debito non siamo nostri? e non solo perché creati da Dio, ma anche perché da lui ricomprati. Rallegriamoci anche, perché siamo stati ricomprati a caro prezzo, col sangue dello stesso Signore; col quale prezzo non siamo più vili e venali. Riportiamo, dunque, i suoi doni al Signore; diamo a colui che riceve attraverso il povero; diamo, dico, con gioia e riceveremo da lui esultanti. Piace a lui, infatti, che gli facciamo forza, spezzando con le opere buone le sbarre del cielo. Il Signor nostro, il solo buono, come il solo Dio, non vuol ricevere per un calcolo di avarizia, ma per generosità di affetto. Che cosa manca, infatti, a colui che dà tutte le cose? O che cosa non possiede, colui che è padrone dei possidenti? Tutti i ricchi sono nelle sue mani, ma la sua immensa giustizia e bontà vuole che gli si faccia dono dei suoi stessi doni, per avere ancora un titolo di misericordia verso di te, perché è buono. E davvero ti prepari lui un merito di cui tu sia degno, perché egli è giusto!



Mc 12, 38-44
Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù nel tempio diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

lunedì 2 novembre 2015

Agostino, Dio è già qui, tanto bello! (Commemorazione dei Defunti)

Commemorazione dei Defunti



Dio è già qui, tanto bello!
Agostino, De civitate Dei, 22, 24

Quali parole potranno mai esaurire la bellezza e l’utilità delle creature, che, per divina misericordia, l’uomo, benché abbandonato e condannato a tante fatiche e miserie, può contemplare e godere? La bellezza varia e molteplice della terra e del mare; l’abbondanza e la meraviglia della stessa luce, nel sole, nella luna e nelle stelle; l’ombra dei boschi; i colori e gli odori dei fiori, la varia moltitudine di uccelli garruli e variopinti; le forme molteplici di tanti animali di cui i più piccoli sono i più ammirevoli (ci meravigliano più le opere delle piccole formiche e delle piccole api, che i corpi immensi delle balene); lo stesso spettacolo immenso del mare, quando si riveste di diversi colori: ora verde, ora variegato, ora purpureo, ora ceruleo. Anzi, è uno spettacolo dilettevole anche quando è agitato, ed è allora tanto più soave, quanto più chi lo contempla è sicuro di non esser da esso scosso e travolto. E che dirò dell’abbondanza enorme dei cibi per combattere la fame, e della molteplicità dei sapori, per combattere la nausea, forniti senza posa dall’opulenta natura e non dall’arte e la fatica dei cuochi? E tra essi, quanti rimedi per ricuperare e proteggere la salute! Che grata alternanza di giorno e di notte! Che dolce spirar di venti! Dalle piante e dai greggi, quanto materiale per confezionare abiti! Chi potrebbe ricordare tutto? Se uno si volesse dedicare ad esaminar anche solo queste poche cose da me ridotte e condensate in queste poche linee, quanto tempo dovrebbe impegnare per ciascuna di esse! E sono tante!

Tutto ciò è consolazione dei miseri e dei condannati, non premio dei beati. Come sarà dunque il premio, se la consolazione è tale e tanta! Cosa darà Dio a coloro che ha predestinato alla vita, se ha dato questo a coloro che ha predestinato alla morte! Di quali beni ricolmerà nella vita beata quelli per i quali in questa miseria ha voluto che il suo Figlio unigenito soffrisse tante pene, fino alla morte? Per questo l’Apostolo, parlando dei predestinati al regno dei cieli, dice: Colui che non perdonò al suo proprio Figlio, ma che lo sacrificò per noi, com’è possibile, che con lui, non ci doni tutto? (Rm 8,32). Quando questa promessa si sarà adempiuta, come saremo? Quali saremo? Quali beni riceveremo in quel regno, avendo già ricevuto un tale pegno: Cristo morto per noi? Come sarà lo spirito dell’uomo, senza i vizi ai quali debba sottostare, a cui debba cedere o contro i quali debba almeno strenuamente lottare, cioè perfetto per il pieno possesso pacificante della virtù? Come sarà abbondante, come sarà bella, come sarà certa la scienza di tutte le cose, pura da ogni errore e fatica, là dove la sapienza di Dio verrà attinta alla sorgente, con somma felicità, senza nessuna difficoltà! Come sarà splendido il corpo, soggetto in tutto allo spirito, da esso pienamente vivificato, libero dal bisogno di qualsiasi alimento! Sarà corpo spirituale, non animale: avrà la sostanza della carne, ma non certo la corruzione della carne.

Vangelo Gv 6,37-40
Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.
Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».