giovedì 27 agosto 2015

Ireneo di Lione, I comandamenti dell’Antico e del Nuovo Testamento (XXII Domenica Tempo Ordinario B)

Ireneo di Lione, Contro le eresie., 4, 11, 4-12
I comandamenti dell’Antico e del Nuovo Testamento


Da parte del Padre, poi, egli ha portato la libertà a coloro che lo servivano con fedeltà, con prontezza e di tutto cuore invece a coloro che lo disprezzavano, che non ubbidivano a Dio, ma per semplice gloria umana cercavano la mondezza esteriore - mondezza che era una semplice figura degli eventi futuri, una semplice ombra: la legge infatti prescriveva e delineava con mezzi temporanei le realtà eterne, e con mezzi terrestri le realtà del cielo - ma dentro erano pieni di ipocrisia, di cupidigia e di ogni malvagità... a costoro ha portato la perdizione, il taglio definitivo dalla vita.

Di fatto la tradizione dei loro anziani, che fingevano di osservare la legge, era invece contraria alla legge data da Mosè. Per questo dice Isaia: "I tuoi osti aggiungono acqua al vino" (Is 1,22), mostrando così che gli anziani mistificavano gli austeri precetti di Dio con tradizioni annacquate, con una legge cioè adulterata e contraria alla vera legge. Anche il Signore lo dichiarò, dicendo loro: "Perché trasgredite il precetto di Dio per la vostra tradizione?" (Mt 15,3). Non contenti di violare la legge con l’inosservanza e di mescolare l’acqua al vino, promulgarono una legge contraria, che resta fino ad oggi e si chiama «legge farisaica». In essa hanno abrogato alcune disposizioni, altre ne hanno aggiunte e altre poi le interpretano come vogliono; i loro maestri le applicano a loro capriccio. Per rivendicare le loro tradizioni, non vollero sottomettersi alla legge che li preparava alla venuta di Cristo; anzi rimproverarono il Signore perché guariva di sabato (il che, come abbiamo detto, non era vietato dalla legge; anch’essa in un certo senso curava, circoncidendo l’uomo di sabato), ma non sapevano rimproverare a sé stessi di trasgredire il precetto di Dio per la tradizione e per la suddetta legge farisaica, e di non avere quello che è l’essenziale della legge, cioè l’amore verso Dio.

Questo è infatti il primo e sommo comandamento, e il secondo è l’amore verso il prossimo. Ce l’ha insegnato il Signore, soggiungendo che da questi due precetti dipendono tutta la legge e i profeti. Egli poi non diede un altro precetto superiore a questo, ma lo rinnovò comandando ai suoi discepoli di amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come sé stessi...

Paolo dice: "L’amore è l’adempimento della legge" (1Cor 13,13), e soggiunge che quando tutto il resto verrà abolito, rimarranno la fede, la speranza e l’amore; ma più grande di tutto è l’amore. Afferma poi che senza l’amore verso Dio, nulla giovano né la gnosi né la comprensione dei misteri né la fede né la profezia: tutto è inutile e vuoto, senza amore. L’amore rende l’uomo perfetto; chi ama Dio è perfetto in questo secolo e nel secolo futuro; mai infatti cesserà il nostro amore per Dio: quanto più lo contempleremo, tanto più lo ameremo...

"Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei; tutto quello che vi dicono, fatelo dunque ed osservatelo; ma non agite come loro agiscono: infatti dicono e non fanno. Confezionano grossi fardelli e li pongono sulle spalle degli uomini, ma loro non li vogliono spostare neppure con un dito" (Mt 23,2s). Non denunciava la legge data da Mosè - che anzi invitava ad osservare fino a quando sarebbe esistita Gerusalemme - ma rimproverava coloro che avevano sulle labbra le frasi della legge, ma non avevano amore ed erano perciò ingiusti verso Dio e verso il prossimo. Così aveva detto Isaia: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me; è inutile il culto che mi rendono, perché insegnano dottrine e comandamenti umani" (Is 29,13). Non chiamava comandamenti umani la legge data da Mosè, ma le tradizioni degli anziani, che quelli si erano congegnate e pretendevano di osservare violando la legge di Dio e disubbidendo perciò al suo Verbo.


Vangelo Mc 7,1-8.14-15.21-23
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate - i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini". Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall'uomo a renderlo impuro». E diceva[ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, in­ganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo».

giovedì 6 agosto 2015

Agostino, Solo un cuore che ama può comprendere (XIX Domenica Tempo Ordinario B)

XIX Domenica Tempo Ordinario B

Vangelo Gv 6, 41-51
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: "Sono disceso dal cielo"?».
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: "E tutti saranno istruiti da Dio". Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Agostino, Solo un cuore che ama può comprendere, Commento a Giovanni, 26, 2.4.10.13

"Non mormorate tra voi: nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato" (Gv 6,43-44).

Con queste parole il Signore ci annunzia una grande grazia. Nessuno va a lui se non è attirato. Non cercare di giudicare chi è che sarà attirato e chi è che non lo sarà, né di stabilire perché uno sarà attirato e un altro non lo sarà, se non vuoi sbagliare. Accetta queste parole e cerca di capirle. Non sei attratto dal Signore? Prega per esserlo. Cosa veniamo a dire, fratelli? Che se siamo attirati a Cristo, allora crediamo nostro malgrado, cioè è per effetto della costrizione, non per effetto della nostra libera volontà? In verità, si può entrare nella chiesa contro la propria volontà, e, contro la propria volontà si può essere indotti ad avvicinarci all’altare e a ricevere i sacramenti; ma non si può credere contro la propria volontà...

Quando ascolti: «Nessuno viene a me se non è attirato dal Padre», non pensare di essere attirato tuo malgrado. La tua anima è attirata anche dall’amore. Non dobbiamo temere di essere rimproverati da quanti stanno attenti alle parole, ma restano lontanissimi dalla interpretazione delle cose divine, i quali, a proposito di questo passo delle sante Scritture, potrebbero dirci: In qual modo credo di mia volontà se sono attirato da Dio? Io rispondo: Non sei attirato per mezzo della volontà, ma per mezzo della gioia. Che significa essere attirati per mezzo della gioia? "Metti nel Signore la tua gioia, ed egli ti darà ciò che domanda il tuo cuore" (Sal 36,4). Si tratta di una certa qual gioia interiore, cui è nutrimento quel pane celeste.

Se il poeta ha potuto dire: «Ciascuno è attirato dal suo piacere» (Virgilio, Egl., 2), - ho detto piacere, non necessità, gioia, non costrizione -, con quanta maggior ragione possiamo dire noi che l’uomo è attirato a Cristo, in quanto in esso trova la gioia della verità, della beatitudine, della giustizia, della vita eterna, tutto ciò insomma che è Cristo medesimo? Se il corpo ha i suoi piaceri, perché l’anima non dovrebbe avere i suoi? Se l’anima non avesse i suoi piaceri, il salmista non direbbe: "I figli dell’uomo spereranno sotto la protezione delle tue ali; si inebrieranno per l’abbondanza della tua casa, e, tu darai loro da bere alla fonte delle tue delizie; perché presso di te è la fonte della vita e nella tua luce vedremo la luce" (Sal 35,8ss).

Dammi un cuore che ama, ed egli capirà ciò che io dico. Dammi un cuore che desidera, un cuore affamato e assetato che si sente in esilio in questa solitudine terrena, un cuore che sospira la fonte della sua eterna dimora ed egli confermerà ciò che dico. Ma se io parlo a un cuore gelido, egli non potrà capirmi. E tali erano coloro che mormoravano...

"In verità, in verità vi dico, chi crede in me ha la vita eterna" (Gv 6,47). Ha voluto rivelare la sua natura. Avrebbe potuto dire più brevemente: Chi crede in me avrà me stesso. Cristo è infatti vero Dio e vita eterna. Chi crede in me, egli dice, viene in me; e chi viene in me, ha me stesso. Cosa intende, Cristo, dicendo «ha me stesso»? Intende, avere la vita eterna.

Colui che è vita eterna accettò la morte, ha voluto morire: ma nella tua natura, non nella sua. Egli ha ricevuto la natura carnale da te, in modo da morire per te. Ha preso la carne dagli uomini, ma non nel modo in cui la prendono gli uomini. Egli, che ha il Padre nel cielo, scelse una madre in terra: in cielo è nato senza madre, in terra è nato senza padre. La vita ha accetta
to la morte, affinché la vita uccidesse la morte. Dunque «chi crede in me - dice - ha la vita eterna»; non la vita che appare manifesta, ma quella che sta nascosta. Perché la vita eterna, cioè il Verbo, «in principio era presso Dio, ed era Dio il Verbo, e la vita era la luce degli uomini».

Lui che è vita eterna, ha dato la vita eterna alla carne che aveva assunto. È venuto per morire e nel terzo giorno è risuscitato. Tra il Verbo che accetta di farsi carne, e la carne che risuscita, la morte è annientata...

"Io sono il pane vivo, io che sono disceso dal cielo" (Gv 6,51). Cioè sono vivo perché discendo dal cielo. Anche la manna era discesa dal cielo: ma la manna era un simbolo, questo pane è la verità. "Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò, è la mia carne per la vita del mondo ".

Come la carne, cioè gli uomini, potevano comprendere il Signore che dava al pane il nome di carne? Egli chiamava carne ciò che la carne non può comprendere, e tanto meno lo comprende in quanto chiama il pane carne. Per questo essi inorridirono, e dissero che era troppo, e che non era possibile. «È la mia carne - disse -per la vita del mondo».

I fedeli conosceranno il corpo di Cristo, se non trascureranno di essere essi stessi il corpo di Cristo. Che divengano il corpo di Cristo, se vogliono vivere dello Spirito di Cristo. Solo il corpo di Cristo vive del suo Spirito. Cercate di capire, fratelli, quanto ho detto. Tu sei un uomo, hai lo spirito e hai il corpo. Chiamo spirito ciò che è chiamato anima, grazie alla quale l’uomo è uomo: infatti l’uomo consta di anima e di corpo. Hai dunque uno spirito invisibile, mentre il corpo è visibile. Dimmi: è il tuo spirito che vive del tuo corpo, o il tuo corpo che vive del tuo spirito? Mi rispondano coloro che vivono (e chi non può rispondere, io non so se egli vive); è il corpo che vive del mio spirito. Tu vuoi vivere dello Spirito di Cristo? Sii nel corpo di Cristo. Forse che - obietti - il mio corpo vive del tuo spirito? Il mio corpo vive del mio spirito, e il tuo del tuo. Il corpo di Cristo non può vivere se non dello Spirito di Cristo. Questo ci dice l’apostolo Paolo quando ci spiega la natura di questo pane: "Un solo pane, un solo corpo siamo noi, anche se siamo molti" (1Cor 10,17).

Oh, grande mistero d’amore! grande simbolo di unità! grande legame di carità! Chi vuol vivere, ha dove vivere, e ha di che vivere. Si avvicini, creda, entri nel corpo, e parteciperà alla vita. Non fugga la unione con gli altri membri, non sia un membro corrotto che merita di essere tagliato, non sia un membro difforme di cui il corpo debba vergognarsi, sia bello, sia composto, sia sano, si unisca al corpo e viva di Dio e per Dio: si affaticherà sulla terra, ma per regnare, dopo, in cielo.

Pier Damiani, Questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia (XXI Domenica Tempo Ordinario B)

XXI Domenica Tempo Ordinario B


Vangelo Gv 6, 60-69
Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». 
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».


Pier Damiani, Questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia
Discorsi, 45 ; PL 144,743 et 747

La Vergine Maria ha dato alla luce Gesù Cristo, l’ha riscaldato nelle sue braccia, l’ha avvolto in fasce e l’ha circondato di cure materne. È proprio lo stesso Gesù di cui riceviamo ora il corpo e beviamo il sangue redentore nel sacramento dell’altare. Questo ritiene vero la fede cattolica, questo insegna fedelmente la Chiesa.
Nessuna lingua umana potrà mai glorificare abbastanza colei dalla quale ha preso carne, lo sappiamo, «il mediatore fra Dio e gli uomini» (1Tm 2,5). Nessun omaggio umano è all’altezza di colei il cui grembo purissimo ha dato il frutto che è il cibo delle nostre anime: colui, in altri termini, che rende testimonianza a se stesso con le parole: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno». Infatti, noi che eravamo stati cacciati dal paradiso di delizie a causa di un cibo, per mezzo di un cibo ritroviamo le gioie del paradiso. Eva ha preso un cibo, e siamo stati condannati a un digiuno eterno; Maria ha dato un cibo, e la porta del banchetto del cielo ci è stata aperta.

Guigo II il Certosino, Seguire Cristo vuol dire aderire a lui (XX Domenica Tempo Ordinario B)

XX Domenica Tempo Ordinario B


Vangelo Gv 6, 51-58
La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.

Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». 

Guigo II il Certosino, Seguire Cristo vuol dire aderire a lui
Meditazione X

"Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna" (Gv 6,55). Insegnaci, Maestro buono (Mc 10,17), tu che solo insegni all’uomo la sapienza (Sal 93,10); insegnaci come dobbiamo mangiare la tua carne e bere il tuo sangue...

Quando mangiamo quel pane corporeo e sensibile, noi mettiamo in bocca anzitutto un frammento staccato da un pane, che poi trituriamo con i denti, liquefacciamo con la saliva e ingoiamo, affinché il nutrimento, entrando dentro, distribuisca alimento e forza a tutto il corpo. Ora, il pane dell’anima è Cristo, "pane vivo disceso dal cielo" (Gv 6,41), che nutre i suoi, al presente nella fede, nel mondo futuro con la visione (2Cr 5,7). Infatti, Cristo abita per la fede in te, e la fede in Cristo è Cristo stesso nel tuo cuore (Ef 3,17). Nella misura in cui credi in Cristo, in quella stessa misura tu lo possiedi. E Cristo è in verità un solo pane, poiché vi è un solo Signore, una sola fede (Ef 4,5) per tutti i credenti, benché del dono dell’unica fede alcuni ricevano di più e altri di meno. Epperò non vi sono tante fedi quanti sono i credenti, altrimenti non sarebbero i fedeli ad essere sottomessi alla fede, bensì questa a loro. Ora, come è una la verità, del pari una sola fede nell’unica verità guida e nutre tutti i credenti e un solo e medesimo Spirito distribuisce a ciascuno i suoi doni in particolare, secondo il suo beneplacito (1Cr 12,11).

Viviamo tutti dunque dello stesso pane (1Cr 10,17), e ciascuno di noi riceve la sua porzione; tuttavia, Cristo è tutto intero per tutti, eccettuati coloro che lacerano l’unità. Non dico tutto intero nel senso che tu gusti Cristo così come lui stesso si gusta, il che non possono fare né gli angeli in cielo, né alcun’ altra creatura. Però nel dono da me ricevuto, io posseggo tutto il Cristo, e Cristo mi possiede interamente, come il singolo membro appartiene a tutto il corpo e possiede in cambio il corpo nella sua interezza.

Perciò, la porzione di fede da te ricevuta è come il pezzettino di pane nella tua bocca; però, se tu non mediti frequentemente e piamente il contenuto stesso del tuo credere, se con i tuoi denti, ovvero con i sensi dell’anima, non lo macini triturandolo, esso non andrà oltre la gola, come dire che non arriverà mai alla tua intelligenza. Come potrebbe essere compreso, in effetti, quel che viene raramente e con negligenza meditato, tenendo conto poi che si tratta di cosa tanto sottile quanto invisibile? La fede infatti propone cose invisibili, ed occorre compiere un grande sforzo di mente prima che alcunché possa essere deglutito e assimilato. Se, invero, la saliva della sapienza, scendendo dall’alto dal Padre dei lumi (Gc 1,17), non ammorbidisce e liquefa quel nutrimento disseccato, tu fatichi invano (Sal 126,1), perché le riflessioni da te coagulate non penetrano nell’intelligenza...

Attraverso l’intelligenza, difatti, il cibo stesso passa nell’affetto del cuore, affinché tu non trascuri tutto ciò che hai compreso, e anzi tu lo raccolga con diligenza per mezzo dell’amore. Infatti, se tu non ami ciò che hai compreso, la tua intelligenza avrà lavorato invano: la sapienza, invero, sta nell’amore.

In effetti, l’intelligenza precede lo spirito di sapienza e non gusta che in maniera del tutto transitoria: l’amore, invece, assapora cibo solido. Nell’amore ha sede tutta la forza dell’anima; in esso si raccoglie tutto il nutrimento vitale, ed è da qui che la vita viene diffusa per tutte le membra che sono le virtù. "Con ogni cura vigila sul cuore, perché da esso sgorga la vita" (Pr 4,23).

L’amore, dunque, al pari del cuore, è posto al centro, verso il quale convergono le tre cose che lo precedono e cioè la fede, la meditazione e l’intelligenza, e qui si consolidano; da qui stesso poi, procedono e vengono dirette le successive conseguenze. In primo luogo, dall’amore procede l’imitazione. Chi infatti non desidera imitare ciò che ama? Se non amerai Cristo, non lo potrai imitare, e cioè non potrai seguirlo. Disse infatti a Simon Pietro, dopo aver indagato sul suo amore: "Seguimi" (Gv 21,19)...

Occorre, dunque, seguire Cristo, aderire a lui. "Il mio bene" - è scritto - "è aderire a Dio" (Sal 72,28); e: "A te si stringe l’anima mia e la forza delta tua destra mi sostiene" (Sal 62,9). "Chi si unisce al Signore forma", infatti, "con lui un solo spirito" (1Cr 6,17). Non soltanto un sol corpo, ma anche un solo spirito. Dello spirito di Cristo tutto il suo corpo vive. Attraverso il corpo di Cristo, si perviene al suo spirito. Cerca quindi di stare nel corpo di Cristo e sarai un giorno un solo spirito con lui. Già, per la fede, sei unito al suo corpo; per la visione, poi, sarai unito anche al suo spirito. Tuttavia, né la fede, quaggiù, può stare senza lo spirito, né lo spirito potrà stare, lassù, senza il corpo, poiché i nostri corpi non saranno allora degli spiriti, bensì spiritualizzati (1Cr 15,44). "Voglio, o Padre" - dice infatti Gesù - "che come tu sei in me e io in te, siano anch’essi una cosa sola, perché il mondo creda (Gv 17,21). Ecco l’uomo per fede. E poco dopo: "Perché anch’essi siano perfetti nell’unità, e il mondo conosca" (Gv 17,23). Ecco l’unione per visione.

Questo significa mangiare spiritualmente il corpo di Cristo: avere in lui una fede pura, e cercare sempre con l’attenta meditazione della stessa fede: e trovare ciò che cerchiamo con l’intelligenza; amare poi ardentemente ciò che si è trovato; imitare ciò che amiamo con tutte le nostre forze, e imitando aderire costantemente a lui; e aderendo, esservi perennemente uniti.



L'autore
Guigo II il Certosino (XII secolo; † 1188), è stato un monaco e priore francese, il nono della Gran Certosa, e scrisse opere di ascetica.
La sua opera principale è la Scala Claustralium, in cui illustra il metodo della Lectio Divina.





martedì 4 agosto 2015

Germano di Costantinopoli, L'Assunzione non toglie al mondo la protezione di Maria (Assunzione della Beata Vergine Maria)

Vangelo Lc 1, 39-56
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente: ha innalzato gli umili.

Dal vangelo secondo Luca
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. 
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse: 
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Nella foto: Giotto, Dormitio Virginis


Germano di Costantinopoli, L'Assunzione non toglie al mondo la protezione di Maria
Omelie sull'Assunzione della Vergine, nn. 1824-1826
È ora, dice il Signore, che ti porti con me, o Madre mia. Come hai riempito di gioia la terra e coloro che abitano in terra, o piena di grazia, così rallegra i celesti. Fai lieta la casa del Padre mio: ravviva gli spiriti dei santi. Vedendo infatti la tua festosa Assunzione tra una moltitudine di angeli si renderanno conto che, per tuo mezzo, una porzione di loro stessi venga ad abitare nella mia luce. Vieni, dunque, con gioia. Ave anche ora e sii felice, come già quella volta (Lc 1,28); hai, infatti, la pienezza di quanto veniva significato con le parole piena di grazia.Ricevesti un messaggio di gioia, quando stavi per concepirmi; godi ora che sei invitata all’Assunzione con me. Non ti turbi l’abbandono di un mondo, che si corrompe con i suoi desideri. Tu superi la sua corruzione; e non è che lasci privi del tuo aiuto coloro che sono nel mondo; ma come io, che non sono del mondo, guardo con occhio di misericordia coloro che sono nel mondo e li guido con la mia provvidenza, così, fino alla fine, non sarà mai tolta al mondo la tua protezione.

L’abbandono della cura della carne non ti farà perire: ti volgerai a una vita più vivace, a un riposo di gioia, alla più grande e tranquilla pace, a una vita senza affanni, a piaceri senza macchia, a un’eternità serenissima, a una letizia immortale, a una luce senza tramonto, a un giorno senza sera; ti volgerai a me, Creatore tuo e di tutte queste cose. Perché dove son io, ivi è la vita eterna, la gioia incomparabile, un’abitazione unica, una città non soggetta a morte. Perciò dove sono io, devi stare anche tu, madre inseparabile, nel Figlio indiviso. Dov’è Dio, c’è ogni bene, ogni piacere, tutto è giocondo. Nessuno che ha visto il mio splendore, pensa d’andar via. Nessuno che ha assaggiato la mia pace, vuole più le cose di un mondo che perisce. Chiedi a Pietro, se ci sia un paragone tra il mondo e il Tabor, dove egli poté vedere per un momento il mio splendore.

Mentre eri nel mondo corruttibile, ti mostrai la mia potenza in visione, ora che ne esci, io mi ti mostrerò a faccia a faccia. Non ti dispiaccia di lasciare alla terra ciò ch’è proprio della terra. Il tuo corpo è mio; e poiché son miei tutti i confini della terra, nessuno porterà via nulla dalle mie mani. Affidami il tuo corpo; anch’io diedi in custodia la mia divinità al tuo utero. La tua anima vedrà la gloria del Padre; il tuo corpo illibato vedrà lo splendore del Figlio unigenito; il tuo spirito immacolato vedrà la maestà del santissimo Spirito.

La morte non avrà nulla da gloriarsi su di te, poiché tu hai portato nel tuo ventre la Vita. Sei stata il mio recipiente; nessuna cosa lo spezzerà, nessuna caligine ti porterà nel buio. Vieni da tuo Figlio di buon animo, voglio farti felice, come lo può volere un figlio: voglio ricompensarti per avermi ospitato nel tuo seno: voglio ripagarti per il latte che m’hai dato: voglio contraccambiarti l’avermi allevato; voglio darti testimonianza che sei mia madre. Tu che, o Madre, hai avuto me come tuo unigenito, vorrai certo stare con me; so molto bene che non puoi portare il tuo amore a un altro figlio. Io ti ho fatta vergine madre. Io ti farò madre felice di tuo Figlio. Ti farò il mondo debitore e farò più gloriosa la tua uscita dal mondo. Ti farò muro del mondo, ponte di quelli che sono sbattuti dai flutti, bastone di quelli che non si reggono, avvocata dei peccatori, scala che porti al cielo i mortali.

Vieni felice. Apri il paradiso, che Eva tua parente, compagna della tua razza, aveva chiuso. Vieni nella gioia di tuo Figlio. Lascia la terrena Gerusalemme: corri alla città celeste; perché il pianto della Gerusalemme terrena durerà poco, come sta scritto: ci sarà un gran pianto, come il pianto del melograno, che vien tagliato nel campo (Zc 12,11). Stenditi nel sepolcro di Getsemani, ma solo in apparenza: non vi ti lascerò a lungo sola. Verrò da te, appena sarai stata seppellita, non per essere un’altra volta concepito ma perché tu sia mia compagna. Adagia con fiducia il tuo corpo sul Getsemani, come io, prima della passione, in quello stesso luogo prostrai le ginocchia del mio corpo. Come io dal punto, ove avevo piegato le ginocchia, mi recai liberamente alla morte vivifica della mia croce, così tu, dopo la deposizione del tuo corpo, sarai subito portata alla vita.