giovedì 28 aprile 2016

Agostino, Il dono della pace (VI domenica di Pasqua C)

VI domenica di Pasqua C


Agostino, Il dono della pace
Commento su Giovanni, 77, 3s.

"La pace" - prosegue il Signore - "io vi lascio, io vi do la mia pace" (Gv 14,27).

Questo è ciò che leggiamo nel Profeta: «Aggiungo pace a pace»; egli andandosene ci lascia la pace, e la pace ci darà tornando alla fine dei secoli. La pace ci lascia in questo mondo, e la pace sua ci darà nel futuro regno. Ci lascia la pace, affinché noi, che restiamo qui, possiamo vincere i nostri nemici; e la pace ci darà laddove potremo vivere senza temere gli assalti dei nemici. Ci lascia qui la pace, affinché ci amiamo a vicenda; ci darà la sua pace lassù, dove non ci sarà alcun motivo di lite fra noi. Ci lascia la pace, affinché non giudichiamo a vicenda le nostre anime, finché siamo in questo mondo; e la sua pace ci darà quando egli scoprirà i più segreti pensieri di ciascuno, e ciascuno riceverà allora da Dio le lodi che gli spetteranno (1Cor 4,5). Ebbene, è in lui e da lui che viene questa pace, sia quella che ci lascia per andare al Padre, sia quella che ci darà quando ci condurrà dal Padre. Ma cos’è che ci ha lasciato andandosene da noi, se non se stesso, che mai si allontanerà da noi? Egli stesso è infatti la nostra pace, egli che di due popoli ne fece uno solo (Ef 2,14). Egli è per noi la pace, sia quando crediamo che egli è, sia quando lo vedremo qual è (cf. 1Gv 3,2). Se infatti egli non abbandona noi che peregriniamo in questo mondo lontani da lui, che siamo prigionieri di questo corpo corruttibile che appesantisce l’anima e che camminiamo verso di lui per mezzo della fede e non perché di lui abbiamo la chiara visione (2Cor 5,6-7), quanto maggiormente ci ricolmerà di sé, quando alfine perverremo a vederlo quale è? Ma perché, quando dice: «Vi lascio la pace», non dice: «la mia pace», mentre aggiunge «mia» quando dice: «vi do la mia pace»? Forse che il possessivo «mia» si deve intendere sottinteso, in modo che esso, che il Signore dice una volta sola, si possa riferire a tutte e due le volte che egli pronunzia la parola «pace»? Oppure in questo dettaglio è nascosto qualche significato misterioso, che si deve cercare, in modo che, bussando, ci venga aperto? Forse ha voluto che per sua pace, si intendesse solo quella che egli ha in sé? Quanto alla pace che egli ci ha lasciata in questo mondo, essa è più nostra che sua. Egli, in se stesso, non ha alcun motivo di contesa, poiché assolutamente non ha in sé alcun peccato, mentre noi avremo una tale pace solo ora, finché diremo: "Rimetti a noi i nostri debiti" (Mt 6,12). Noi abbiamo quindi una certa pace, quando, nel nostro intimo, troviamo gioia nell’obbedire alla legge di Dio: ma questa pace non è piena, in quanto ci rendiamo conto che nelle nostre membra c’è un’altra legge, che è opposta alla legge della nostra anima (Rm 7,22-23). E questa pace regna tra noi e in noi, quando crediamo all’amore reciproco e di questo amore ci amiamo l’un l’altro; ma questa pace non è piena, perché non possiamo vedere l’uno nell’intimo dei pensieri dell’altro, e perché ci formiamo un’opinione buona o cattiva di ciò che non è realmente in noi. Orbene, questa pace, sebbene ci sia stata lasciata dal Signore, è veramente la nostra: se non fosse per lui, non avremmo neppure questa pace, ma non è quella che egli ha. Se però tale la conserveremo sino alla fine, quale l’abbiamo ricevuta, avremo quella pace che egli ha, e in cui non avremo, tra noi e in noi, alcun motivo di contesa, e niente ci sarà nascosto all’uno e all’altro di quanto sta ora celato nei nostri cuori.


Vangelo Gv 14, 23-29
Lo Spirito Santo vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse [ ai suoi discepoli ]:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

giovedì 21 aprile 2016

Agostino, Comandamento nuovo, uomini nuovi (V Domenica di Pasqua C)

V Domenica di Pasqua C


Uomini nuovi in virtù del comandamento nuovo
Agostino, Commento su Giovanni, 65,1-3

Cristo ci ha dunque dato un nuovo comandamento, nel senso che ha detto di amarci l’un l’altro, così come egli ci ha amati. È questo amore che ci rinnova, affinché diveniamo uomini nuovi, eredi del Nuovo Testamento, cantori di un nuovo cantico. Questo amore, fratelli, ha rinnovato anche i giusti dei tempi antichi, i patriarchi e i profeti, come più tardi ha rinnovato i beati apostoli. Esso ora rinnova tutte le genti, e, di tutto il genere umano che è diffuso ovunque sulla terra, fa, riunendolo, un sol popolo nuovo, il corpo della nuova sposa del Figlio unigenito di Dio, della quale il Cantico dei Cantici dice: "Chi è colei che si alza splendente di candore?" (Ct 8,5 , secondo i LXX). Essa è splendente di candore perché è rinnovata: da che cosa, se non dal nuovo comandamento? Ecco perché i suoi membri sono solleciti l’uno per l’altro e se uno soffre, soffrono con lui tutti; se uno è glorificato, gioiscono con lui tutti gli altri (1Cor 12,25-26). Essi ascoltano e praticano quanto dice il Signore: «Vi do un nuovo comandamento, che vi amiate gli uni gli altri», ma non come si amano quelli che cercano la corruzione, né come si amano gli uomini in quanto hanno la stessa natura umana, ma come si amano coloro che sono dèi e figli dell’Altissimo, e che mirano a divenire fratelli dell’unico Figlio suo, che si amano a vicenda dell’amore del quale egli li ha amati, che li porterà a giungere a quella meta dove egli sazierà tutti i loro desideri, nell’abbondanza di tutte le delizie (Sal 102,5). Allora, ogni desiderio sarà soddisfatto, quando Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,28). Una tale meta non conoscerà fine. Nessuno muore là dove nessuno può giungere se prima non è morto per questo mondo, e non della comune morte nella quale il corpo è abbandonato dall’anima, ma della morte degli eletti. Quella morte che, mentre ancora siamo in questa carne mortale, eleva il cuore in alto nei cieli. È di questa morte che l’Apostolo dice: "Perché voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio" (Col 3,3). Forse per la stessa ragione sta scritto: "L’amore è forte come la morte" (Ct 8,6).

È grazie a questo amore che, pur restando ancora prigionieri di questo corpo corruttibile, noi moriamo per questo mondo, e la nostra vita si nasconde con Cristo in Dio; o, meglio, questo stesso amore è la nostra morte per il mondo, ed è vita con Dio. Se infatti parliamo di morte quando l’anima esce dal corpo, perché non dobbiamo parlare di morte quando il nostro amore esce da questo mondo? L’amore è quindi davvero forte come la morte. Che cosa è più forte di questo amore che vince il mondo?

Ma non crediate, fratelli, che il Signore dicendo: «Vi do un nuovo comandamento, che vi amiate gli uni gli altri», abbia dimenticato quell’altro comandamento che ci è stato dato, che amiamo il Signore Dio nostro con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutto il nostro spirito. Può sembrare che egli lo abbia dimenticato, in quanto dice soltanto: «che vi amiate gli uni gli altri», come se il primo comandamento non avesse rapporti con quello che ordina di amare "il prossimo tuo come te stesso" (Mt 12,37-40).

A "questi due comandamenti" - disse il Signore, come narra Matteo - "si riduce tutta la legge e i profeti (Mt 22,40)". Ma per chi bene li intende, ciascuno dei due comandamenti si ritrova nell’altro. Infatti, chi ama Dio non può disprezzare Dio stesso quando egli ordina di amare il prossimo; e colui che ama il prossimo di un amore spirituale, chi ama in lui se non Dio? Questo è quell’amore liberato da ogni affetto terreno, che il Signore caratterizza aggiungendo le parole: «come io ho amato voi». Che cosa, se non Dio, il Signore amò in noi? Non perché già lo possedessimo, ma perché lo potessimo possedere; per condurci, come poco prima ho detto, là dove Dio sarà tutto in tutti. È in questo senso che, giustamente, si dice che il medico ama i suoi malati: e cosa ama in essi, se non quella salute che desidera ripristinare, e non certo la malattia che si sforza di scacciare?

Amiamoci dunque l’un l’altro, e, per quanto possiamo, a vicenda aiutiamoci a possedere Dio nei nostri cuori. Questo amore ci dona colui che ci dice: «Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Egli ci ha amati per renderci capaci di amarci a vicenda; questo ci ha concesso amandoci, che ci stringiamo con mutuo amore e, uniti quali membra da un sì dolce vincolo, siamo il corpo di un tanto augusto capo.

"In questo appunto tutti riconosceranno che voi siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35). È come se avesse detto: Coloro che non sono miei discepoli, hanno in comune con voi altri doni, oltre la natura umana, la vita, i sensi, la ragione e tutti quei beni che sono propri anche degli animali; essi hanno anche il dono della conoscenza delle lingue, il potere di dare i sacramenti, quello di fare profezie; il dono della scienza o quello della fede, la capacità di distribuire ai poveri tutti i loro beni, e quella di sacrificare il loro corpo nelle fiamme. Ma se essi non hanno la carità, sono soltanto dei cembali squillanti: non sono niente, e tutti questi doni a loro niente giovano (1Cor 13,1-3). Non è dunque in queste grazie, sia pure eccellenti, e che possono esser date anche a chi non è mio discepolo, ma è «in questo che tutti riconosceranno che voi siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».


Vangelo Gv 13, 31-33a. 34-35
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni agli altri.

Dal vangelo secondo Giovanni
Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

giovedì 14 aprile 2016

Gregorio Nazianzeno, Preghiera per la Comunità (IV Domenica di Pasqua C)

IV Domenica di Pasqua C


Preghiera per la Comunità
Gregorio Nazianzeno, Sermone 2, 117

Dio della pace, che di due ci fa uno (Ef 2,14) e ci fonde l’uno con l’altro, che colloca i re sui troni e solleva i poveri dalla terra e innalza gli abietti dal nulla (Sal 112,7); che scelse David e lo prese dalle greggi di pecore (Sal 77,70), sebbene fosse l’ultimo dei figli di Jesse (1Sam 17,14); il quale riempie di forza la parola di quelli che annunziano il Vangelo (Sal 67,12), egli regga la nostra destra, la guidi secondo la sua volontà e la coroni di gloria (Sal 72,24), pascendo i pastori e guidando le guide; perché noi possiamo pascolare con sapienza il suo gregge... 
Dia lui virtù e fortezza al suo popolo (Sal 67,36) e si formi un gregge splendido e immacolato (Ef 5,27) degno dell’ovile del cielo, nella casa della gioia (Sal 86,7), nello splendore dei santi (Sal 109,3); perché tutti, gregge e pastori, possiamo cantare gloria (Sal 28,9), in Gesù Cristo nostro Signore, al quale sia ogni gloria nei secoli dei secoli. Amen.


Vangelo Gv 10, 27-30
Alle mie pecore io do la vita eterna.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

venerdì 8 aprile 2016

Agostino, Le due scene di pesca (III Domenica di Pasqua C)

III Domenica di Pasqua C


Le due scene di pesca
Agostino, Commento su Giovanni 122,6s

Gesù, mentre nasceva il giorno, stava in piedi sulla riva: la riva significa la fine del mare, e rappresenta perciò la fine dei tempi. E ancora immagine della fine dei tempi è il fatto che Pietro trae la rete a terra, cioè sulla riva. È lo stesso Signore che, in un’altra circostanza, ci chiarisce il significato di queste immagini parlando della rete tratta su dal mare: «Ed essi la tirano sulla riva», dice (Mt 13,38). Che cos’è questa riva? Egli stesso lo spiega poco più avanti: "Sarà così alla fine del mondo" (Mt 13,49).

Ma in quella circostanza si trattava soltanto di un racconto sotto forma di parabola, non del significato allegorico di un fatto reale. Qui, invece, è con un fatto reale che il Signore ci vuole fare intendere ciò che sarà la Chiesa alla fine del mondo, così come in un’altra pesca ha raffigurato ciò che è la Chiesa, oggi, in questo mondo (Lc 5,1-11). Il primo miracolo ebbe luogo all’inizio della sua predicazione; il secondo, che è questo di cui ora ci occupiamo, si verifica dopo la sua Risurrezione.

Con la prima pesca egli volle significare i buoni e i cattivi di cui ora la Chiesa è formata; con la seconda indica che la Chiesa, alla fine dei tempi, sarà formata soltanto dei buoni che dopo la risurrezione dei morti, saranno in lei in eterno.

La prima volta Gesù non stava, come ora, sulla riva, quando ordinò di prendere i pesci; infatti, "montato su una barca che era di Simone, lo pregò di scostarsi un poco da terra, e sedendo nella barca ammaestrava le turbe. Appena finì di parlare, disse a Simone. Prendi il largo e calate le vostre reti per la pesca" (Lc 5,1-4). E il pesce che allora fu catturato restò nella barca, perché i pescatori non trassero a riva la rete come fanno ora.

Tutte queste circostanze e le altre ancora che si potrebbero trovare, indicano che nella prima pesca è raffigurata la Chiesa in questo mondo, mentre nella seconda pesca essa è raffigurata quale sarà alla fine del mondo. È per questo che il primo miracolo Cristo lo compie prima della Passione, il secondo dopo la Risurrezione: là, Gesù raffigura noi chiamati alla Chiesa, qui raffigura noi risorti alla vita eterna.

Nella prima pesca la rete non è gettata solo dal lato destro della barca, a significare la raccolta dei soli buoni, e neppure soltanto dal lato sinistro a significare la pesca dei soli malvagi. Gesù non precisa da quale parte si getta la rete: «Calate le vostre reti per la pesca», dice, per intendere che la Chiesa raccoglie, in questo mondo, i buoni e i cattivi. Qui invece precisa: «Gettate la rete dal lato destro della barca», per significare che debbono essere raccolti solo quelli che stanno a destra, cioè i buoni.

La prima volta la rete si rompe, immagine degli scismi che divideranno la Chiesa: qui invece, nella pace suprema di cui gioiranno i santi, non c’è posto per gli scismi, e perciò l’evangelista afferma: «E benché i pesci fossero tanti» - cioè grandi e molto numerosi - «la rete non si strappò». Egli sembra proprio alludere alla prima pesca, quando la rete si ruppe, per sottolineare con tale paragone la superiorità di questa pesca nella quale solo i buoni vengono raccolti.



Vangelo Gv 21, 1-19 [Forma Breve Gv 21, 1-14]
Viene Gesù, prende il pane e lo dà loro, così pure il pesce.

Dal vangelo secondo Giovanni
[ In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. ]
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».