giovedì 9 giugno 2016

Gregorio Magno, La falsa giustizia e il pentimento (Tempo Ordinario XI Domenica C)


TEMPO ORDINARIO XI DOMENICA C




La falsa giustizia del Fariseo e il pentimento di Maria
Gregorio Magno, Omelie, 33, 1-8

Perché vide le macchie della sua turpitudine corse a lavarsi alla fontana della misericordia, e non si vergognò dei convitati. Poiché si vergognava di se stessa dentro di sé, neanche pensò che ci fosse qualche cosa di cui si dovesse vergognare innanzi agli altri. Che cosa, allora, ci deve stupire: Maria che va dal Signore, il Signore che l’accoglie? Che l’accoglie o che la trascina? Dirò più esattamente che l’accoglie e la trascina, poiché la trascinò, nell’anima, con la sua misericordia e l’accolse esteriormente con la sua mansuetudine. Al vedere questo, il Fariseo disprezza non solo la peccatrice che si presenta, ma anche il Signore che l’accoglie, e dice tra sé: "Se fosse un profeta costui, saprebbe certamente che razza di donna è questa che lo tocca" (Lc 7,39). Ecco il Fariseo veramente superbo e falsamente giusto accusa la malata della sua malattia e il medico per il soccorso che le porta, lui che era malato di superbia, e non lo sapeva. Fra i due malati sta il medico. Ma un malato conserva nella febbre la sua capacità di sentire; l’altro, per la febbre della carne, aveva perduto la forza della mente. Infatti quella piangeva per ciò che aveva fatto; il Fariseo, invece, orgoglioso della sua falsa giustizia accresceva la forza della sua malattia. Nella malattia aveva proprio perduto i sensi, costui, se neanche capiva quanto fosse lontano dalla salvezza. Intanto un gemito ci obbliga a volgere lo sguardo ad alcuni del nostro grado, i quali, rivestiti della dignità sacerdotale, se hanno fatto un qualche bene esteriormente, subito disprezzano gli altri, disdegnano i peccatori e, se confessano i loro peccati, non mostrano loro alcuna comprensione, anzi, come il Fariseo, si guardano bene dal farsi toccare da una peccatrice. Se, infatti, quella donna si fosse gettata ai piedi del Fariseo, questi l’avrebbe cacciata a calci, avrebbe creduto di rimanere sporcato dai suoi peccati. Ma per il fatto che gli mancava la giustizia, il Fariseo s’ammalava per il peccato altrui. Perciò ogni volta che vediamo i peccati degli altri, dobbiamo prima piangere su noi stessi, perché forse siamo caduti negli stessi peccati, o possiamo cadervi. E anche se l’ufficio c’impone di censurare il vizio, dobbiamo tuttavia distinguere tra la severità contro il vizio e la compassione dovuta alla natura. Se il vizio, infatti, va colpito, il prossimo dev’essere sostenuto, poiché nel momento in cui detesta ciò che ha fatto, il prossimo non è più peccatore... Pertanto, fratelli, ponderate la grandezza della pietà del Signore. Eccolo che chiama, e coloro ch’egli ha denunziato come peccatori, li invita al suo abbraccio dopo che lo hanno abbandonato. Nessuno, allora, perda l’occasione d’una così grande misericordia, nessuno disprezzi la medicina offerta dalla divina bontà. Ecco, la divina misericordia ci richiama, dopo che abbiamo peccato, e ci apre, se torniamo, le braccia della sua clemenza. Rifletta bene ciascuno quanta pressione eserciti questo Signore che aspetta il peccatore e, disprezzato, non s’indigna. Perciò, chi s’è allontanato, ritorni; chi è caduto si rialzi... Ripensate, fratelli, a questa peccatrice penitente e imitatela. Detestate ciò che ricordate d’aver fatto nell’adolescenza o nella gioventù, lavate con le lacrime la sporcizia delle azioni. Amiamo le piaghe del nostro Redentore, piaghe che abbiamo disprezzato peccando. Ecco, si apre, per accoglierci, il seno della divina bontà; la nostra vita di peccato non viene respinta. Se detestiamo la nostra cattiveria, già questo ci ridona una purezza interiore. Il Signore ci abbraccia al nostro ritorno, perché per lui non può essere indegna la vita di un peccatore, se è lavata col pianto, in Gesù Cristo nostro Signore.





Vangelo Lc 7, 36 - 8, 3 Forma breve 7,36-50
Le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato.

Dal vangelo secondo Luca
[In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. 
Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». 
Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 
E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». 
Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».]
In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.

giovedì 26 maggio 2016

Agostino, Credere per capire (SS. Corpo e Sangue del Signore C)


SS. Corpo e Sangue del Signore C

Credere per capire
Agostino, Discorsi 272

Ciò che dunque vedete è pane e vino; ed è ciò che anche i vostri occhi vi fanno vedere: ma la vostra fede vuol essere istruita, il pane è il corpo di Cristo, il vino è il sangue di Cristo. Veramente quello che è stato detto in poche parole forse basta alla fede: ma la fede desidera essere istruita. Dice infatti il profeta: Se non crederete, non capirete (Is 7,9). Infatti voi potete dirmi: «Ci hai insegnato a credere, fa’ in modo che noi comprendiamo». Nel proprio animo qualcuno può pensare: «Sappiamo che Nostro Signore Gesù Cristo nacque da Maria Vergine. Da bambino fu allattato, nutrito; quindi crebbe, divenne giovane, fu perseguitato dai Giudei, fu messo in croce, morì in croce, fu deposto dalla croce, fu sepolto, il terzo giorno risuscitò come aveva stabilito, salì in cielo; come è asceso così verrà a giudicare i vivi e i morti; quindi ora siede alla destra del Padre: come può il pane essere il suo corpo? E il calice, ossia il vino che il calice contiene, come può essere il suo sangue?». Ma queste cose, fratelli, si chiamano Sacramenti, poiché in essi una cosa si vede, un’altra si intende. Ciò che si vede ha un aspetto corporeo, ciò che si intende ha sostanza spirituale. Se dunque vuoi farti una idea del corpo di Cristo, ascolta l’Apostolo che dice ai fedeli: Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra (1Cor 12,27). Perciò se voi siete il corpo e le membra di Cristo, il vostro mistero risiede nella mensa del Signore: voi accettate il vostro mistero. A ciò che siete voi rispondete Amen, e così rispondendo voi l’approvate. Infatti tu senti: «Il Corpo di Cristo»; e rispondi Amen. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia vero quell’Amen. Perché dunque nel pane? Qui non aggiungiamo nulla di nostro, ascoltiamo sempre lo stesso Apostolo che, parlando di questo sacramento, dice: Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo (1Cor 10,17): comprendete e gioite; unità, verità, pietà, carità. Un pane solo: che cos’è questo solo pane? Pur essendo molti siamo un corpo solo. Ricordatevi che il pane non si ottiene da un solo chicco di grano, ma da molti. Quando venivate esorcizzati era come se foste macinati. Quando siete stati battezzati, come se foste impastati. Quando avete ricevuto il fuoco dello Spirito Santo, come se foste cotti. Siate ciò che vedete e accettate quello che siete. Questo ha detto del pane l’Apostolo. Quindi quello che intendiamo col calice, anche se non è stato detto, lo ha mostrato sufficientemente. Infatti come molti chicchi si fondono in uno solo per avere la forma visibile del pane, così avvenga ciò che la Sacra Scrittura dice dei fedeli: Essi avevano un cuor solo e un’anima sola rivolti verso Dio (At 4,32): ed è così anche per quanto riguarda il vino. Fratelli, ricordate da che cosa si ricava il vino. Molti sono i chicchi che pendono dal grappolo, ma poi tutti si mescolano in un solo liquido. Cristo Signore ha voluto che noi fossimo così, ha voluto che noi gli appartenessimo, ha consacrato alla sua mensa il mistero della pace e della nostra unità. Chi accoglie il mistero dell’unità, ma non mantiene il vincolo della pace, non accoglie il mistero in suo favore, ma una prova contro di sè.



Vangelo Lc 9, 11b-17
Tutti mangiarono a sazietà. 

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C'erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.


giovedì 19 maggio 2016

Gregorio Nazianzeno, Lode delle tre luci (Santissima Trinità C)




Santissima Trinità C

Gregorio Nazianzeno, Lode delle tre luci
Poemi teologici, sez. I,2,3 

So che attraversiamo il mare con piccole navi, | con deboli ali puntiamo verso il cielo trapunto di stelle, | mentre parliamo di Dio a quanti lo cercano, | quel Dio che nemmeno gli abitanti del cielo son capaci di onorare come conviene.

Ma tu, Spirito di Dio, stimola la mia mente e la mia lingua, | tromba squillante della verità, | perché tutti possano godere col cuore immerso nella pienezza di Dio.

Un solo Dio, senza principio né causa, | non circoscritto da cosa alcuna preesistente o futura, | infinito che abbraccia il tempo, | grande Padre del grande e santo Figlio unigenito: | purissimo spirito, nulla ha sofferto nel Figlio di quanto egli ha patito nella carne.

Unico Dio, distinto nella persona, ma non nella divinità, è il Verbo divino. | Egli è la viva impronta del Padre, unico Figlio di colui ch’è senza principio, | solo dal solo, uguale, | sì che mentre quegli rimane pienamente genitore, | egli, il Figlio, è anche lui creatore e reggitore del mondo, | forza e intelligenza del Padre.

Cantiamo dapprima il Figlio, | adorando il sangue che fu espiazione dei nostri peccati. | Infatti, senza nulla perdere della sua divinità, mi salvò, | chinandosi, medico, sulle mie ferite purulente. | Era mortale, ma Dio; | discendente di Davide, ma creatore di Adamo; | rivestito di corpo, ma non partecipe della carne. | Ebbe una madre, ma vergine; circoscritto, ma immenso. | Fu vittima, ma anche pontefice; sacerdote, eppure Dio. | Offrì a Dio il suo sangue, e purificò il mondo intero. La croce innalzò lui, ma i chiodi confissero il peccato. | Si confuse tra i morti, ma dalla morte risuscitò, | e richiamò alla vita molti ch’eran morti prima di lui: | in questi era la povertà dell’uomo, in lui la ricchezza dello spirito. | Ma tu non gridare allo scandalo, | come se la vicenda umana fosse disdicevole a Dio: | anzi, onora ancor più la divinità nella sua forma terrena, | che il Figlio incorruttibile ha assunto, spinto dall’amore per te.

Anima, perché indugi? Canta anche la gloria dello Spirito: | non separare, nel tuo discorso, ciò che la natura non ha diviso. | Tremiamo davanti al potente Spirito, come davanti a Dio: | è per mezzo di lui che ho conosciuto Dio. | Egli è evidentemente Dio, è lui che mi fa diventare Dio: onnipotente, autore di doni diversi, suscita inni nel coro dei santi; | dà vita agli abitanti del cielo e della terra, regna nei cieli. | Forza divina che procede dal Padre, non è soggetto a potere alcuno. | Non è figlio: uno solo è infatti il Figlio santo dell’unico Bene. | E non è al di fuori della indivisibile divinità, ma è pari nell’onore.

Trinità increata, al di fuori del tempo, | santa, libera, ugualmente degna di adorazione: unico Dio che governa il mondo con triplice splendore! | Da tutti e tre, col battesimo, io vengo rigenerato nell’uomo nuovo: | distrutta la morte, avanzo nella luce, risorto a nuova vita. | Se, dunque, Iddio mi ha tutto purificato, | io debbo adorarlo nella pienezza del suo tutto.



Vangelo Gv 16, 12-15
Tutto quello che il Padre possiede è mio; lo Spirito prenderà del mio e ve l'annunzierà.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.
Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

giovedì 12 maggio 2016

Cromazio d’Aquileia, La Chiesa di Cristo è là dove viene predicata l’incarnazione di Cristo dalla Vergine (Domenica di Pentecoste C)


Domenica di Pentecoste C


La Chiesa di Cristo è là dove viene predicata l’incarnazione di Cristo dalla Vergine 
Cromazio d’Aquileia, Discorsi, 30

Dopo che il Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo morì, risuscitò e ascese al cielo, la sua Chiesa formata da un centinaio di persone si riunì nel cenacolo al piano superiore, con Maria madre di Gesù e con i suoi fratelli. Non si può parlare di Chiesa dove non c’è Maria madre del Signore coi suoi fratelli. La Chiesa di Cristo infatti è lì, dove viene predicata l’incarnazione di Cristo dalla Vergine. E dove predicano gli apostoli, fratelli del Signore, si ascolta il vangelo. 

All’inizio, dopo l’ascensione del Signore al cielo, la Chiesa contava appena centoventi uomini, poi aumentò tanto da riempire tutto il mondo di innumerevoli popoli. Che questo sarebbe avvenuto lo manifesta lo stesso Signore nel vangelo, dicendo agli apostoli: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,23). 

E veramente un frutto abbondante ha portato la risurrezione del Signore, dopo la sua passione per l’umana salvezza. Nel grano di frumento il nostro Salvatore vuol indicare il suo corpo. Dopo la sua sepoltura portò un frutto innumerevole, perché con la risurrezione del Signore sono spuntate in tutto il mondo spighe di virtù e messi di popoli credenti. La morte di uno solo è diventata la vita di tutti. 

A ragione, in un altro passo del vangelo, fa questo paragone: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami» (Mt 13,31-32). Al granellino di senapa il Signore ha paragonato se stesso che, pur essendo il Signore della gloria, di una maestà eterna, si fece il più piccolo di tutti, degnandosi di nascere piccolo bambino dalla Vergine. 

Viene seminato in terra quando il suo corpo è consegnato al sepolcro. Ma dopo che è risorto, per la gloria della risurrezione si è innalzato da terra, per diventare un albero sui cui rami abitano gli uccelli del cielo. In questo albero era rappresentata la Chiesa, che dopo la morte di Cristo è risorta nella gloria. I suoi rami non sono che gli apostoli, poiché come i rami con naturalezza ornano l’albero, così gli apostoli con lo splendore della loro grazia ornano la Chiesa di Cristo. 

Nei rami si vedono abitare gli uccelli del cielo. In questi uccelli del cielo siamo allegoricamente raffigurati noi, che entrando nella Chiesa di Cristo riposiamo sulla dottrina degli apostoli come su rami. 

All’inizio dunque, dopo l’ascensione del Signore, la Chiesa contava solo pochi uomini, ma poi crebbe tanto da riempire tutto il mondo, non solo le città, ma anche le diverse nazioni. Credono i Persi, credono gli Indi, crede tutto il mondo. I popoli sono condotti nella pace all’ossequio di Cristo non dal terrore della spada o dalla paura dell’imperatore, ma dalla sola fede in Cristo. E se la necessità lo richiede, sono pronti a dare la vita per il loro Re piuttosto che perdere la fede. E giustamente, perché questo Re per cui combattiamo premia i suoi soldati anche dopo la morte. Il re del mondo non può dare niente dopo la morte al soldato che si è lasciato uccidere per lui, perché anch’egli è soggetto alla morte; ma Cristo-re premierà con l’immortalità i suoi soldati che si sono lasciati uccidere per lui. Il soldato del mondo, se è ucciso per il re, è vinto. Il soldato di Cristo, invece, vince maggiormente quando merita di essere ucciso per Cristo.



Vangelo Gv 14, 15-16. 23-26
Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

giovedì 28 aprile 2016

Agostino, Il dono della pace (VI domenica di Pasqua C)

VI domenica di Pasqua C


Agostino, Il dono della pace
Commento su Giovanni, 77, 3s.

"La pace" - prosegue il Signore - "io vi lascio, io vi do la mia pace" (Gv 14,27).

Questo è ciò che leggiamo nel Profeta: «Aggiungo pace a pace»; egli andandosene ci lascia la pace, e la pace ci darà tornando alla fine dei secoli. La pace ci lascia in questo mondo, e la pace sua ci darà nel futuro regno. Ci lascia la pace, affinché noi, che restiamo qui, possiamo vincere i nostri nemici; e la pace ci darà laddove potremo vivere senza temere gli assalti dei nemici. Ci lascia qui la pace, affinché ci amiamo a vicenda; ci darà la sua pace lassù, dove non ci sarà alcun motivo di lite fra noi. Ci lascia la pace, affinché non giudichiamo a vicenda le nostre anime, finché siamo in questo mondo; e la sua pace ci darà quando egli scoprirà i più segreti pensieri di ciascuno, e ciascuno riceverà allora da Dio le lodi che gli spetteranno (1Cor 4,5). Ebbene, è in lui e da lui che viene questa pace, sia quella che ci lascia per andare al Padre, sia quella che ci darà quando ci condurrà dal Padre. Ma cos’è che ci ha lasciato andandosene da noi, se non se stesso, che mai si allontanerà da noi? Egli stesso è infatti la nostra pace, egli che di due popoli ne fece uno solo (Ef 2,14). Egli è per noi la pace, sia quando crediamo che egli è, sia quando lo vedremo qual è (cf. 1Gv 3,2). Se infatti egli non abbandona noi che peregriniamo in questo mondo lontani da lui, che siamo prigionieri di questo corpo corruttibile che appesantisce l’anima e che camminiamo verso di lui per mezzo della fede e non perché di lui abbiamo la chiara visione (2Cor 5,6-7), quanto maggiormente ci ricolmerà di sé, quando alfine perverremo a vederlo quale è? Ma perché, quando dice: «Vi lascio la pace», non dice: «la mia pace», mentre aggiunge «mia» quando dice: «vi do la mia pace»? Forse che il possessivo «mia» si deve intendere sottinteso, in modo che esso, che il Signore dice una volta sola, si possa riferire a tutte e due le volte che egli pronunzia la parola «pace»? Oppure in questo dettaglio è nascosto qualche significato misterioso, che si deve cercare, in modo che, bussando, ci venga aperto? Forse ha voluto che per sua pace, si intendesse solo quella che egli ha in sé? Quanto alla pace che egli ci ha lasciata in questo mondo, essa è più nostra che sua. Egli, in se stesso, non ha alcun motivo di contesa, poiché assolutamente non ha in sé alcun peccato, mentre noi avremo una tale pace solo ora, finché diremo: "Rimetti a noi i nostri debiti" (Mt 6,12). Noi abbiamo quindi una certa pace, quando, nel nostro intimo, troviamo gioia nell’obbedire alla legge di Dio: ma questa pace non è piena, in quanto ci rendiamo conto che nelle nostre membra c’è un’altra legge, che è opposta alla legge della nostra anima (Rm 7,22-23). E questa pace regna tra noi e in noi, quando crediamo all’amore reciproco e di questo amore ci amiamo l’un l’altro; ma questa pace non è piena, perché non possiamo vedere l’uno nell’intimo dei pensieri dell’altro, e perché ci formiamo un’opinione buona o cattiva di ciò che non è realmente in noi. Orbene, questa pace, sebbene ci sia stata lasciata dal Signore, è veramente la nostra: se non fosse per lui, non avremmo neppure questa pace, ma non è quella che egli ha. Se però tale la conserveremo sino alla fine, quale l’abbiamo ricevuta, avremo quella pace che egli ha, e in cui non avremo, tra noi e in noi, alcun motivo di contesa, e niente ci sarà nascosto all’uno e all’altro di quanto sta ora celato nei nostri cuori.


Vangelo Gv 14, 23-29
Lo Spirito Santo vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse [ ai suoi discepoli ]:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

giovedì 21 aprile 2016

Agostino, Comandamento nuovo, uomini nuovi (V Domenica di Pasqua C)

V Domenica di Pasqua C


Uomini nuovi in virtù del comandamento nuovo
Agostino, Commento su Giovanni, 65,1-3

Cristo ci ha dunque dato un nuovo comandamento, nel senso che ha detto di amarci l’un l’altro, così come egli ci ha amati. È questo amore che ci rinnova, affinché diveniamo uomini nuovi, eredi del Nuovo Testamento, cantori di un nuovo cantico. Questo amore, fratelli, ha rinnovato anche i giusti dei tempi antichi, i patriarchi e i profeti, come più tardi ha rinnovato i beati apostoli. Esso ora rinnova tutte le genti, e, di tutto il genere umano che è diffuso ovunque sulla terra, fa, riunendolo, un sol popolo nuovo, il corpo della nuova sposa del Figlio unigenito di Dio, della quale il Cantico dei Cantici dice: "Chi è colei che si alza splendente di candore?" (Ct 8,5 , secondo i LXX). Essa è splendente di candore perché è rinnovata: da che cosa, se non dal nuovo comandamento? Ecco perché i suoi membri sono solleciti l’uno per l’altro e se uno soffre, soffrono con lui tutti; se uno è glorificato, gioiscono con lui tutti gli altri (1Cor 12,25-26). Essi ascoltano e praticano quanto dice il Signore: «Vi do un nuovo comandamento, che vi amiate gli uni gli altri», ma non come si amano quelli che cercano la corruzione, né come si amano gli uomini in quanto hanno la stessa natura umana, ma come si amano coloro che sono dèi e figli dell’Altissimo, e che mirano a divenire fratelli dell’unico Figlio suo, che si amano a vicenda dell’amore del quale egli li ha amati, che li porterà a giungere a quella meta dove egli sazierà tutti i loro desideri, nell’abbondanza di tutte le delizie (Sal 102,5). Allora, ogni desiderio sarà soddisfatto, quando Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,28). Una tale meta non conoscerà fine. Nessuno muore là dove nessuno può giungere se prima non è morto per questo mondo, e non della comune morte nella quale il corpo è abbandonato dall’anima, ma della morte degli eletti. Quella morte che, mentre ancora siamo in questa carne mortale, eleva il cuore in alto nei cieli. È di questa morte che l’Apostolo dice: "Perché voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio" (Col 3,3). Forse per la stessa ragione sta scritto: "L’amore è forte come la morte" (Ct 8,6).

È grazie a questo amore che, pur restando ancora prigionieri di questo corpo corruttibile, noi moriamo per questo mondo, e la nostra vita si nasconde con Cristo in Dio; o, meglio, questo stesso amore è la nostra morte per il mondo, ed è vita con Dio. Se infatti parliamo di morte quando l’anima esce dal corpo, perché non dobbiamo parlare di morte quando il nostro amore esce da questo mondo? L’amore è quindi davvero forte come la morte. Che cosa è più forte di questo amore che vince il mondo?

Ma non crediate, fratelli, che il Signore dicendo: «Vi do un nuovo comandamento, che vi amiate gli uni gli altri», abbia dimenticato quell’altro comandamento che ci è stato dato, che amiamo il Signore Dio nostro con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutto il nostro spirito. Può sembrare che egli lo abbia dimenticato, in quanto dice soltanto: «che vi amiate gli uni gli altri», come se il primo comandamento non avesse rapporti con quello che ordina di amare "il prossimo tuo come te stesso" (Mt 12,37-40).

A "questi due comandamenti" - disse il Signore, come narra Matteo - "si riduce tutta la legge e i profeti (Mt 22,40)". Ma per chi bene li intende, ciascuno dei due comandamenti si ritrova nell’altro. Infatti, chi ama Dio non può disprezzare Dio stesso quando egli ordina di amare il prossimo; e colui che ama il prossimo di un amore spirituale, chi ama in lui se non Dio? Questo è quell’amore liberato da ogni affetto terreno, che il Signore caratterizza aggiungendo le parole: «come io ho amato voi». Che cosa, se non Dio, il Signore amò in noi? Non perché già lo possedessimo, ma perché lo potessimo possedere; per condurci, come poco prima ho detto, là dove Dio sarà tutto in tutti. È in questo senso che, giustamente, si dice che il medico ama i suoi malati: e cosa ama in essi, se non quella salute che desidera ripristinare, e non certo la malattia che si sforza di scacciare?

Amiamoci dunque l’un l’altro, e, per quanto possiamo, a vicenda aiutiamoci a possedere Dio nei nostri cuori. Questo amore ci dona colui che ci dice: «Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Egli ci ha amati per renderci capaci di amarci a vicenda; questo ci ha concesso amandoci, che ci stringiamo con mutuo amore e, uniti quali membra da un sì dolce vincolo, siamo il corpo di un tanto augusto capo.

"In questo appunto tutti riconosceranno che voi siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35). È come se avesse detto: Coloro che non sono miei discepoli, hanno in comune con voi altri doni, oltre la natura umana, la vita, i sensi, la ragione e tutti quei beni che sono propri anche degli animali; essi hanno anche il dono della conoscenza delle lingue, il potere di dare i sacramenti, quello di fare profezie; il dono della scienza o quello della fede, la capacità di distribuire ai poveri tutti i loro beni, e quella di sacrificare il loro corpo nelle fiamme. Ma se essi non hanno la carità, sono soltanto dei cembali squillanti: non sono niente, e tutti questi doni a loro niente giovano (1Cor 13,1-3). Non è dunque in queste grazie, sia pure eccellenti, e che possono esser date anche a chi non è mio discepolo, ma è «in questo che tutti riconosceranno che voi siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».


Vangelo Gv 13, 31-33a. 34-35
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni agli altri.

Dal vangelo secondo Giovanni
Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

giovedì 14 aprile 2016

Gregorio Nazianzeno, Preghiera per la Comunità (IV Domenica di Pasqua C)

IV Domenica di Pasqua C


Preghiera per la Comunità
Gregorio Nazianzeno, Sermone 2, 117

Dio della pace, che di due ci fa uno (Ef 2,14) e ci fonde l’uno con l’altro, che colloca i re sui troni e solleva i poveri dalla terra e innalza gli abietti dal nulla (Sal 112,7); che scelse David e lo prese dalle greggi di pecore (Sal 77,70), sebbene fosse l’ultimo dei figli di Jesse (1Sam 17,14); il quale riempie di forza la parola di quelli che annunziano il Vangelo (Sal 67,12), egli regga la nostra destra, la guidi secondo la sua volontà e la coroni di gloria (Sal 72,24), pascendo i pastori e guidando le guide; perché noi possiamo pascolare con sapienza il suo gregge... 
Dia lui virtù e fortezza al suo popolo (Sal 67,36) e si formi un gregge splendido e immacolato (Ef 5,27) degno dell’ovile del cielo, nella casa della gioia (Sal 86,7), nello splendore dei santi (Sal 109,3); perché tutti, gregge e pastori, possiamo cantare gloria (Sal 28,9), in Gesù Cristo nostro Signore, al quale sia ogni gloria nei secoli dei secoli. Amen.


Vangelo Gv 10, 27-30
Alle mie pecore io do la vita eterna.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».